La scomparsa dei paesaggi calabresi (di Battista Sangineto)

LA SCOMPARSA DEI PAESAGGI CALABRESI

di Battista Sangineto

L’ottimo articolo di Francesco Cirillo sul Meridione, ripreso da Gabriele Carchidi su Iacchite’ (http://www.iacchite.blog/belvedere-addio-calanchi-di-francesco-cirillo/), racconta come un paesaggio affascinante e prezioso, perché non comune, sia stato cancellato dal cemento e dalla bramosia del profitto a brevissimo termine, a Belvedere Marittimo (CS). I calanchi, in geografia fisica, sono solchi di erosione dell’acqua, profondi, stretti, separati da croste rocciose fragili, a volte molto alte, con pareti molto inclinate. In Italia, i calanchi, sono tipici soprattutto del subappennino tosco-emiliano ed è per questo motivo che quelli di Belvedere erano preziosi, quasi unici nel Sud. Da bambino, passando sulla vecchia SS 18 in auto, chiedevo a mio padre se ci giravano i film western, in quei posti, ma lui mi rispondeva che, invece, li giravano in America e che quelli erano mucchi di terra chiamati calanchi. Li ritrovai, i calanchi, a Siena e nelle poesie e nelle prose di Roberto Roversi, Mario Luzi, Cesare Brandi e del mio amatissimo Alfonso Gatto:

“Nel silenzio del Senese
dalla somma dei giorni per sottrarne
un giorno solo chiaro d’infinito,
cammino per le crete delle marne
pezzate d’ocra, strutte dall’attrito
dei venti nel silenzio del senese…”

La cieca distruzione del paesaggio dei calanchi di Belvedere è solo un esempio fra i tanti, ma non per questo meno doloroso e dolente.

In Calabria è scomparso il paesaggio dei miei, dei nostri, ricordi infantili e adolescenziali; sono scomparse le montagne ed i promontori coperti da orrendo e inutile cemento armato; è scomparso il mare che, bambino, vedevo (vedevamo) dal terzo o quarto tornante sul versante occidentale della vecchia strada che, negli anni ’60, si doveva percorrere, dalla città, per arrivare sulla costa.

In Calabria, nel tempo brevissimo di trenta o quarant’anni, i territori sono stati letteralmente stravolti, annientati, cementificati, inquinati e, persino, contaminati.
Sono stati cancellati, cementificati, dalla mano dell’uomo negli ultimi decenni compromettendo la stabilità degli spazi geografici e dei paesaggi che garantisce alle società un senso di perpetuità in grado di conservare la memoria individuale e quella collettiva, l’identità. Una percezione di perennità data dallo spazio geografico che, secondo Halbwacks, è la sola dimensione capace di permanere, perché i luoghi, di solito, cambiano più lentamente degli uomini che li abitano.Di paesaggi storici e naturali perduti ho già scritto molto e ne scriverò ancora perché la scomparsa dei paesaggi scardina, irreversibilmente, i nessi fisici ed emotivi che ognuno di noi intrattiene, anche inconsciamente, con i luoghi in cui è nato e cresciuto ed io non voglio più sentire questa “angoscia territoriale” perché mi sono stati sottratti i punti di riferimento fisici nativi.