La sentenza del giudice Di Dedda è un vero e proprio avvertimento ad Occhiuto

Prendo in prestito solo per qualche secondo le parole di Occhiuto: questi che scrivono della condanna di Carchidi sono i soliti odiatori di professione. Che provano a dire falsità nella speranza che qualcuno ci creda. E solo perché non hanno digerito il fatto che Carchidi abbia messo in piazza i loro poco chiari affari.

La condanna che ha riportato l’altro ieri il direttore è singolare. Che è quello che gli odiatori di professione non dicono. E come è nostro stile, con carte alla mano, ve lo spieghiamo.

Il processo a nostro carico che si è concluso l’altro ieri è il primo dei tanti procedimenti intentati da Occhiuto nei nostri confronti. Ne abbiamo da qui all’eternità. Siamo solo agli inizi. Ed approfitto per sottolineare anche che quando veniamo assolti, come è già successo diverse volte, l’ultima contro Pino Gentile, noi non mettiamo i manifesti.

I capi di imputazione che ci sono stati contestati in questo processo sono 4 (a,b,c,d,), e il reato da noi commesso è la diffamazione art. 595 cp.

Il processo doveva stabilire, ed ha stabilito, se era vero o no che abbiamo diffamato Occhiuto in quattro scritti diversi, e con diverse “esternazioni”. Articolo per articolo il giudice ha stabilito dove c’è stata la diffamazione e dove no. E qui viene il bello. Quello che i lecchini e i corrotti al soldo di Occhiuto non diranno mai. Insieme ai finti garantisti. Quelli che il garantismo vale solo per  Madame Fifì e Nicola Adamo.

Il primo capo di imputazione (A) fa riferimento all’articolo dal titolo “Cooperative, il dramma di chi ha perso il lavoro”. Dove ad Occhiuto gliene diciamo di cotte e di crude fino a scrivere la frase che secondo l’accusa avrebbe diffamato Occhiuto: “il pentito Foggetti ha dichiarato che a pestarlo (in riferimento ad Ivan Trinni) sono stati lui, Rango e Daniele Lamanna e che l’ordine è partito direttamente da Occhiuto”. Una affermazione grave che pone Occhiuto ai vertici della malavita cosentina. Ma questo articolo non è stato ritenuto dal giudice diffamatorio. E scrive in sentenza; per il capo A, assolvo Santagata Michele e Gabriele Carchidi per non aver commesso il fatto. Per il giudice non abbiamo commesso il reato o fatto, di diffamazione.

Mentre la lecchina del sindaco, Iole Perito – lei sì indagata per stalking, e non perché scrive inchieste, o attacca il potere – scrive che il giudice ci ha assolto perché non si è potuto risalire a chi ha scritto il pezzo. Una balla spaziale, come potete leggere voi stessi dai capi di imputazione dove si legge chiaramente che gli articoli sono stati pubblicati su Iacchite’. Che come si sa, e come sanno in tribunale, ha un direttore responsabile che risponde penalmente anche degli scritti non firmati.

Poi c’è il capo B che fa riferimento all’articolo dal titolo “Fondazione pubblica, affari privati”. Anche qui cantiamo la pampina ad Occhiuto fino a scrivere la frase diffamatoria: “… cioè tanti bei soldini che avranno fatto girare l’economia occhiutiana”. Quella degli intrallazzi e ddi ‘mmualici. Anche questo articolo, con tanto di autore è stato pubblicato come dicono loro sul blog Iacchite’. Qui il giudice è più chiaro, qualora la Perito non l’avesse capito. Si assolve perché il fatto non costituisce reato. E’ scritto chiaro in sentenza.

Veniamo al capo C che fa riferimento all’articolo dal titolo “Mario Occhiuto, un uomo in nero” anche questo pubblicato su Iacchite’ e da me firmato con la mia sigla GdD.

Faccio un inciso per farvi capire come distorcono, i lecchini di Occhiuto, la verità: dopo qualche mese dall’apertura di Iacchite’ fui chiamato in tribunale dalla polizia giudiziaria, potete chiedere, e poi esiste un verbale. Il maresciallo che mi convocò aveva avuto l’ordine dalla procura di stabilire l’identità di GdD. Cosa che avvenne. Fui identificato con nome e cognome e dovetti dichiarare sottoscrivendo un verbale che GdD sono io. Quindi la storiella che non sapevano chi avesse scritto i pezzi riportata dai lecchini, è veramente ridicola. Questo ci fa capire il grave stato di ansia di Occhiuto.

In questo pezzo tra il serio e il faceto ad Occhiuto, come sempre, lo faccio “nero”, appunto. Fino alla frase che sempre secondo l’accusa sarebbe stata diffamatoria nei confronti del sindaco “… può in virtù di questo nobile mandato che sistematicamente tradisce, fare promesse, distribuire prebende, affidare appalti. E per chi deve raccoglier soldi da lui, magari da tanto tempo, questa è l’unica strada. Imprenditori che pur di recuperare le dovute spettanze sono disposti, insieme a lui ad imbrogliare, inciuciare, taroccare…”. Dico chiaramente che imbroglia, intrallazza, ed altro. Ed anche qui il giudice dice: assolto per non aver commesso il fatto. Ovvero la diffamazione.

Il capo D, dove il direttore è stato condannato, fa riferimento ad un articolo dal titolo  “Statue Sacre”. Dove riportiamo le parole di Occhiuto, senza raccontare i suoi intrallazzi, solo che prima di nominarlo il direttore lo appella come “il sindaco più squallido e viscido della storia”. Questa espressione è stata giudicata dal giudice diffamatoria ed ovviamente è arrivata la condanna.

Ora la conclusione non può che essere una: quando raccontiamo, firmandoci, gli intrallazzi di Occhiuto e gliene diciamo di tutti i colori, il giudice ci assolve, per gli aggettivi pesanti invece ci condanna.

Dunque Occhiuto non ha vinto niente, anche perché siamo al primo grado di giudizio, semmai è finita 3 a 1.

Occhiuto e la sua corte di lecchini devono chiedersi come mai il giudice sulla narrazione fatta da noi dei suoi intrallazzi, non ci ha condannato. Forse che il giudice sa che quegli articoli da qui a poco risulteranno confermati (perché veri lo sono già) e non voleva fare, condannandoci, una brutta figura? E dovendoci condannare per forza si è aggrappato agli aggettivi? Giusto per accontentare Occhiuto ma con la consapevolezze che questa sentenza più che un ammonimento a noi, è un vero è proprio avvertimento ad Occhiuto.

GdD

Di seguito la sentenza.