Liti, affari e tradimenti: il segreto di Giorgia è la famiglia spericolata

(di Francesco Merlo – repubblica.it) – Quel che le dà spessore, Giorgia lo tiene segreto, come nei romanzi di Carolina Invernizio, come in Beautiful, come nelle telenovela sudamericane. E dunque, ricapitoliamo: ci sono le due sorelle che tutti conosciamo, Giorgia e Arianna, ma ci sono anche due altre Meloni, figlie dello stesso padre, le sorellastre Barbara e Simona. Giorgia le ha nascoste agli italiani che governa, anche se Barbara Meloni sembra, non solo nelle foto, la sua copia, il suo doppio sofferto. E forse le belle rughe di Barbara raccontano a Giorgia l’altra sé stessa che, come capitò a Borges, un giorno, anche Giorgia incontrerà su una panchina.

Con Barbara e con la seconda sorellastra, Simona, i “rapporti si sono interrotti per ragioni personali che non ritengo di dover condividere” ha detto Giorgia al Domani. Mentre a Repubblica, Barbara, che è appunto la maggiore delle quattro, mormorando con amarezza “alle mie sorelle voglio un gran bene” ha raccontato un lessico familiare con il tocco della grazia: “tutti insieme, perché ad alcune cose mio padre ci teneva molto e non potevi mancare”.

Senz’altre spiegazioni, è lecito immaginare che all’origine del distacco di Giorgia ci sia il matrimonio della sorellastra Barbara con l’ex compagno della madre, il signor Raffaele Matano, che nelle foto sembra un energico mascellone delle serie latinoamericane di Netflix, occhiali scuri e basettoni: non certo il patrigno, ma una figura che, per qualche tempo, nei primi anni del 2000, in casa Meloni somigliava a un genitore. Solo in italiano – pensate – le parole matrigna, patrigno, fratellastro e sorellastra hanno un suono dispregiativo che non esiste, se non forse come sfumatura ereditata dalla favola di Cenerentola, nell’inglese stepfather e nel francese demi-soeur. E forse è così perché, prima della denatalità, siamo stati il paese delle mamme, il paese dove la ragion di mamma è stata persino più forte, e soprattutto più condivisa, della ragion di stato. Ma stiamo cambiando anche noi e non solo perché, se nascono sempre meno bambini, ci sono sempre meno mamme nel paese della mamma. La verità è che anche in Italia la famiglia plurale, che Giorgia testardamente ci ha nascosto, non ha più il profumo della vita peccaminosa, se non nella vergogna di chi la nasconde. Le famiglie allargate, insomma, non sono più considerate come piccoli serragli da rinchiudere in un recinto di malumore, come ha fatto Giorgia. Anche perché le facciate cosiddette rispettabili, quando sono erette da un leader politico di un paese democratico, prima o poi vengono smontate dai bravi giornalisti ed è facile che vengano anche sporcate per diventare una gran massa di dettagli pruriginosi sui rotocalchi, uguali e contrari all’esibizione di immusonita virtù nelle agiografie di propaganda.

Una rete fitta di amore e odio

C’è, allora, un incanto nella nuova inchiesta sulla famiglia Meloni, sul pedigree di Giorgia direbbe Simenon, che è una reta fitta fitta di amore e odio, di affari e tradimenti, di politica e parenti. E finalmente si capisce quell’ostentazione del distacco dal padre, Francesco Meloni, che nella famosa autobiografia “Io sono Giorgia” è solo un groppo in gola, un nodo di stomaco di poche righe. Furono i giornali spagnoli a raccontarlo al timone della barca “cavallo pazzo” imbottita di hashish , e poi le Canarie come rifugio, i soldi facili, la condanna a nove anni e la violenza della malattia che in carcere l’ha ucciso. “La mia storia con il padre delle mie figlie non è materia pubblica” ha detto indignata la mamma di Giorgia, Anna Paratore. Giorgia lo aveva liquidato così: “Quando è morto, qualche anno fa, la cosa mi ha lasciato indifferente, lo scrivo con dolore”.

Un inesauribile genio-imbroglione

Ma le sorellastre di Giorgia, Barbara e Simona, e la sorella di papà Meloni, Gemma Meloni, una signora piena di dignità e di prudenza, con Repubblica hanno rovesciato l’uomo rude in poeta romantico, e la barca a vela da nascondiglio della droga è diventata un pianeta solitario e veloce, un frammento di felicità staccato dalla terra. E le tante imprese, anche quelle con l’ex moglie e con quel suo nuovo compagno (ormai ex anche lui), Matano appunto, fanno di papà Meloni un inesauribile genio-imbroglione di quelli classici, affari e passioni, un piccolo Jean Paul Belmondo, la simpatica canaglia, donne, romanticismo e figli, anche due ragazzi acquisiti da una terza moglie, tutti coinvolti nelle sue avventure economiche: “mi disse che lavorava per mantenere tutte queste famiglie” ha confidato la sorella. Comprò belle case, aprì ristoranti e locali notturni, restaurò la storica villa che oggi ospita il Museo Archeologico a La Gomera.

Nelle inchieste giornalistiche come questa, si possono anche seguire i sentimenti invece di perdersi nei soldi, nelle società fittizie, nelle condanne per bancarotta, affari, fatture e intrallazzi che qui vanno da Ostia sino a Panama, da Roma alle Canarie, a Palma di Majorca, a tutti quei luoghi dell’imprenditoria sudata. E’ l’Altrove che, riassunto nella parola “Sudamerica”, Paolo Conte aveva segnalato come sottofondo dell’anima gaglioffa dell’italiano piccolo piccolo: “Il giorno tropicale era un sudario / davanti ai grattacieli era un sipario / campa decentemente e intanto spera / di essere prossimamente milionario”.

E si capisce che è accucciato lì il talento di Giorgia, in queste cronache dal disordine, nell’incanto dell’albero genealogico intrecciato, di una famiglia di famiglie, una famiglia plurima, radiale, che fuori dal nascondiglio potrebbe brillare di modernità. E’ un bel pasticcio, insomma, di quelli che piacciono alla sinistra, con quei nonni paterni che sono pure artisti, ovviamente di sinistra: nonno Nino, l’antifascista, regista radiofonico di romanzi sceneggiati e nonna Zoe (Incrocci era il cognome), sorella maggiore di Age, lo sceneggiatore in coppia con Scarpelli, bravissima attrice caratterista e doppiatrice anche di Marilyn Monroe (“Eva contro Eva”). Nonna Zoe nel 1991 vinse il David di Donatello e pure il Nastro d’argento come migliore attrice non protagonista in Verso sera, il bel film di Francesca Archibugi.

La giovane Giorgia è finita nel Msi, lo sappiamo: i Gabbiani, l’architetto Rampelli, i campi Atreiu, gli invasati di quel mondo speciale che è l’estrema destra, di quell’etere cosmico, che forse non è mai stato fascista, per carità di Dio, ma fanatico sicuramente sì, spiritato, ardente e vittimista. Sono gli eredi dei poetici selvaggi Er pecora e Benito Paolone: “io ti mangio il cuore” e “Giorgio, noi l’amore lo facciamo sugli alberi”. Giorgia è finita lì perché “il fascismo è disperazione”, scrisse Giuseppe Antonio Borgese dal suo esilio americano nel 1937, e perché c’è sempre il dolore nell’infanzia di un capo, per dirla alla Sartre.

Io sono Giorgia

E infatti Giorgia ha truccato la sua biografia con ragioni più intime, forti e drammatiche di Giuseppe Conte, che truccò il suo curriculum e gonfiò i suoi titoli. E come il padre spacciava hashish per liberarsi dai debiti, Giorgia ha spacciato candore per liberarsi di sé stessa: il candore come ideologia politica, la falsa aureola della destra – “mamma, cristiana, italiana” – che ne segnò il successo elettorale. Ma ora, grazie a questa inchiesta, che avanza su Repubblica, e che dall’autobiografia è partita e quel candore ha cercato di verificare, sappiamo che c’era, al contrario, da raccontare una grande storia di vite spericolate alla Vasco Rossi, che probabilmente alla fine daranno appunto spessore e senso a Giorgia Meloni. Senza nulla togliere alla sua innocenza, che rimarrà certamente intatta, prende infatti forma la forza di carattere e la sapienza di vita che stanno segnando una leadership inaspettata.

Io non vedo crimini finanziari e neppure grandi capitali, ma vedo la lotta testarda della piccola gente romana che teme la povertà e vive sempre al confine con l’umiliazione. C’è il grasso della vita e ci sono gli uomini malandrini del sottosuolo economico italiano e dei destini arruffati, tutti con il pensiero aristotelico: “Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”. Forza presidente Meloni, si liberi e ci liberi.

I vaffa, gli insulti e i pachistani. Chi è l’ex socio di mamma Meloni

  • I vaffa, le invocazioni a Dio per fulminare i rom, ma anche Mattarella traditore, gli insulti ai giornalisti e gli immancabili elogi all’unica leader possibile: «Io voto Giorgia perché è un’amica, perché è in gamba, perché è onesta e preparata».
  • Parola di Lorenzo Renzi, imprenditore romano, protagonista della compravendita con plusvalenza in favore di Anna Paratore e Milka Di Nunzio, madre e amica di Giorgia Meloni.
  • La vicenda è stata svelata da Domani nei giorni scorsi e ruota attorno al cosiddetto affare Raffaello, dal nome della società Raffaello Eventi srl che ha gestito, in passato, il B-Place, un bar in zona Eur. In un’altra società spunta un nuovo cittadino pachistano come rappresentate dell’impresa.

(GIOVANNI TIZIAN E NELLO TROCCHIA – editorialedomani.it) – I vaffa, le invocazioni a Dio per fulminare i rom, ma anche Mattarella traditore, gli insulti ai giornalisti e gli immancabili elogi all’unica leader possibile: «Io voto Giorgia perché è un’amica, perché è in gamba, perché è onesta e preparata».

Parola di Lorenzo Renzi, imprenditore romano, protagonista della compravendita con plusvalenza in favore di Anna Paratore e Milka Di Nunzio, madre e amica di Giorgia Meloni, con Di Nunzio inoltre molto attiva nell’ambiente politico della premier a tal punto da ricoprire il ruolo di contabile delle spese e delle donazioni nella campagna elettorale del 2016 con Meloni candidata a sindaca di Roma.

La vicenda è stata svelata da Domani nei giorni scorsi e ruota attorno al cosiddetto affare Raffaello, dal nome della società Raffaello Eventi srl che ha gestito, in passato, il B-Place, un bar in zona Eur.

L’AFFARE PRIMA DEL VOTO

Nel 2012 Paratore e Di Nunzio hanno acquisito alcune quote della srl, e sono entrate così in società proprio con Lorenzo Renzi, David Solari e Daniele Quinzi (candidato di Fratelli d’Italia alle comunali del 2013). Il lounge bar B-Place è diventato meta della destra romana e anche dalla futura fondatrice e leader di Fratelli d’Italia. C’è una foto che immortalava, nel 2013, proprio Meloni in compagnia della sua amica del cuore, Di Nunzio quando quest’ultima con mamma Anna erano nella società che gestiva il locale. Passano quattro anni, e mamma e amica di Meloni decidevano di uscire dall’avventura imprenditoriale liberandosi delle loro quote. A ricomprarle ci sono proprio Renzi e Solari che le acquistano a quasi 90mila euro, una cifra venti volte superiore a quella incassata nel 2012.

I due soci hanno firmato l’accordo per pagare a rate le somme stabilite fino al 2018 a partire dal febbraio 2016, un mese prima dell’annuncio ufficiale della discesa in campo di Meloni, come candidata sindaca di Roma del centrodestra. All’epoca Di Nunzio non era ancora stata assunta come coordinatrice nella Croce Rossa Italiana durante la presidenza di Rocca, oggi diventato presidente del Lazio e fedelissimo di Meloni. Ma da lì a poco sarebbe stata ingaggiata dall’amica del cuore per svolgere il delicato ruolo di mandataria elettorale, diventava la figura che gestisce i conti, le spese e le entrate per la campagna per la campagna del voto 2016 con Meloni candidata a sindaca di Roma.

TRA ROMA E PAKISTAN

Ma che fine fa quella srl? Finisce nelle mani di due signori pachistani, introvabili, che avevano il domicilio presso la mensa dei poveri della comunità di Sant’Egidio.

Iftikhar Ahmad Gondal acquista con 10mila euro le quote, come abbia fatto a reperire le risorse finanziarie è uno dei tanti misteri di questa storia così come il ruolo di Muhammad Tahir, diventato amministratore della società dopo la cessione a Gondal. Abbiamo chiesto ai protagonisti una risposta, ma non abbiamo ottenuto alcuna spiegazione, lo studio notarile Farinaro che registra l’atto non rammenta se all’epoca avesse o meno inviato una segnalazione alle autorità antiriciclaggio visti i profili degli ultimi compratori, ufficialmente senza un tetto sotto al quale vivere.

Nello scacchiere societario di Renzi-Solari (il terzo socio è Quinzi) spunta un’altra srl con la sede legale allo stesso indirizzo della Raffaello eventi, viale dell’Arte 20. Si tratta di Italia ristorazione con capitale sociale di dieci mila euro, attualmente inattiva e che vede, anche in questo caso come amministratore unico uno straniero, il cittadino pachistano, Abdul Rehman Mirza. Il rappresentante dell’impresa ha come domicilio il lungomare Paolo Toscanelli, la sede di Ostia della comunità di Sant’Egidio. È il terzo pachistano, con medesimo indirizzo, che affiora nella galassia societaria della coppia Renzi-Solari.

«Non ricordo, non voglio rispondere. Non c’è niente da spiegare, non voglio parlare con voi di queste cose, anzi la sto salutando, se lei mi saluta chiudiamo perché io sono una persona cortese», è la risposta di Renzi contattato da Domani più volte.

La cortesia dell’imprenditore stupisce, sui social è molto più duro. «Giuliana Sgrena è una donna di me r…», scriveva nel febbraio 2014, quando era in società con madre e figlia di Meloni. «Sinisa zingaro si può dire?!», «non so se ha più rotto le palle la corte costituzionale o Napolitano», «sono a dir poco turbato…questa non è democrazia…#mattarella #traditore del voglio degli italiani». Poi passava all’analisi dell’offerta informativa televisiva: «Neanche se mettiamo insieme vespa e la durso (scritti proprio così dall’autore ndr) esce una porcata triste con fanta attori come quella di serviziopubblico», «il giornalismo di piazzapulita è vergognoso….fateveschifo!», scriveva l’imprenditore nel 2015.

La raffinata analisi non può mancare di affrontare il tema lavoro e immigrazione. «Reddito di cittadinanza, reddito di emergenza…unico modo per questi inetti di prendere voti», «che Dio ti fulmini» con foto di una cittadina rom che rovista nel cassonetto nel periodo di Ignazio Marino sindaco, «non si tratta di bambini di serie b…se non hai il permesso di soggiorno non ci puoi stare», uno dei sui post.

IL MARCHESE

Eppure oltre gli insulti, oltre la plusvalenza misteriosa e i migranti pachistani che sputano nelle varie società, Renzi e Solari sono registi di un’esperienza di ristorazione d’eccellenza. Il loro ristorante, il Marchese, è una delle mete preferite della Roma che conta, il sito Dagospia rilanciava un articolo di Leggo con questo incipit: «Il solito magna magna, il Marchese, in via di Ripetta, è il nuovo ritrovo della politica forchettona (….) appuntamento irrinunciabile anche per lady Biden e lady Macron che si sono date appuntamento per un tè al limone e zenzero, durante il G20 (il vertice dei grandi della terra, svoltosi a Roma nel 2021 ndr)».

Un’avventura imprenditoriale che ha avuto un enorme successo di pubblico e di critica e che è stata replicata anche a Milano, dove ha aperto un ristorante con lo stesso nome, tra i soci di Renzi e Solari troviamo anche attori di fama nazionale, come Edoardo Leo e Luca Argentero.