Noi, cosentini senza memoria e identità

FOTO TRATTA DAL PROFILO FB DI LUIGI SIMONE

UN COMMENTO SU FB DI UGO G. CARUSO, CLASSE 1956, COSENTINO RESIDENTE A ROMA DALLA METÀ DEGLI ANNI ’70, STORICO DELLO SPETTACOLO E STUDIOSO DI CULTURA DI MASSA

di Ugo G. Caruso

In nessuna altra città italiana tra quelle che conosco e credo me ne manchino pochissime, riscontro un’assenza di memoria come quella che connota Cosenza. Intervistai Cesare Baccelli per una rivista studentesca quando ero al ginnasio.

Le sue colombe s’intonavano a Piazza Kennedy perché simboleggiavano la Pace e al contempo la vittoria delle “colombe” in politica sui “falchi” ai tempi della crisi dei missili cubani che portò il mondo sull’orlo della III^ guerra mondiale. Poi Kennedy e Kruscev riuscirono a prevalere sui duri dei rispettivi apparati militari ed il mondo che per dodici interminabili giorni aveva tenuto il fiato sospeso temendo un olocausto nucleare tirò un sospiro di sollievo.

Quella scultura traeva quindi il proprio senso dall’intitolazione della piazza al presidente americano ucciso a Dallas mediante da un complotto attraverso il quale si compì un vero e proprio colpo di stato, dissimulato attraverso una colossale macchinazione che ancora oggi sostiene una verità ufficiale inaccettabile e mistificata.

Da anni invece quelle colombe sono state spostate indegnamente in un luogo incongruo, all’inizio di Viale Mancini, uno snodo topico nel traffico che sempre più attanaglia la città, ridotta dal nuovo sistema viario ad una gimkana insensata che moltiplica i tempi di percorrenza e favorisce la condensazione del flusso delle auto. E ciò avviene ridicolmente in nome di avanzate teorie sullo svuotamento dalle auto dei centri cittadini.

Insomma, a proposito di mistificazioni, una retroguardia goffamente travestita da avanguardia. Dove prima sorgeva il Bar Manna, per oltre due decenni il punto di ritrovo della città, anche di quella Cosenza che non mi era simpatica, quella dei politicanti, dei notabili massoni, dei professionisti trionfi, di una mondanità becera e provinciale ma pure di tante altre cose, non c’è oggi neppure una targa che lo ricordi. Tutto dissolto nel nulla. Non dissimile l’oblio che avvolge il Bar Gatto che restava appena 50 metri più in là su Corso Mazzini, il caffè più in voga negli anni ’60, con i suoi “gattini”, la gioventù dorata cosentina. E di fronte lo Young Club, il piccolo Piper cittadino sorto ad imitazione di quello storico di Via Tagliamento a Roma.

Per non dire del Cinema Aurora, già chiuso a metà dei sessanta, dove comunque feci in tempo a vedere qualche western e qualche cappa e spada nella prima infanzia. Temo che in questo ambito l’elenco sia interminabile. È un processo, quella della damnatio memoriae, tipico del nostro tempo sciagurato che colpisce le città d’ogni latitudine. Ma come sempre, Cosenza raggiunge gradazioni altissime che unitamente allo stravolgimento di piazze, strade, viali e con l’aggiunta di ponti inutili, dinosauri di cartongesso, tesori inesistenti ed altre trovate a metà strada tra Disneyland e una sagra di campagna, la allontanano dalla sua storia, dal suo contesto storico e dalla sua identità riducendola ogni giorno di più ad un frastornante e pacchiano non luogo.

Ogni qualvolta vi faccio ritorno, tre o quattro volte l’anno, constato con amarezza un peggioramento costante ed ugualmente distribuito in tutti i suoi quartieri. E con l’assenso o addirittura il plauso dei cosentini. O con il dissenso ancora troppo timido di molti di essi. Di cosa avranno ancora bisogno i cosentini per rendersi consapevoli della “grande bruttezza” che ha colpito irreversibilmente la loro città rendendola per molti tratti inguardabile, kitsch, sganciata dal proprio passato, sempre più impercorribile e avviata per tante ragioni a divenire invivibile?

Foto tratta dal profilo Fb di Luigi Simone