Norcia 2008, l’ultimo Siena-Cosenza: il racconto di un diffidato

La vita è una metafora. Oggi i miei occhi e la mia immaginazione tratteggiano i contorni di una vita speciale, una vita ribelle.

La vita è un piazzale di uno stadio di calcio, con il formicolio della gente che transita, con il fermento dei tifosi che si muovono su e giù come delle formiche alla ricerca di un riparo. Il piazzale di uno stadio è la rappresentazione più o meno consapevole dell’eterogeneità della gente che popola il “catino infuocato”, lo stadio, l’arena dei tempi moderni, il tempio del calcio moderno.

Ci sono i tifosi e ci sono gli ultras, due categorie antitetiche, troppo lontane e troppo vicine ma io ho deciso di vivere ultras nella vita, oltre l’evento calcistico, oltre le parole da sciacallo che hanno fatto i tifosi dopo tutto quello che è avvenuto a Norcia.

Oggi come nell’antichità c’erano i nobili e c’era la plebe, c’erano i ricchi e c’era il popolo, c’erano gli umili servitori e gli sciacalli, c’erano gli schiavi che chinavano il capo e gli schiavi che si ribellavano per diventare più schiavi di prima, con le catene ai polsi e le palle di piombo strette ai piedi… C’era l’orgoglio di appartenere al popolo, un popolo bigotto da una parte ma ancora vivo dall’altra. Ieri come oggi c’era chi si vendeva la nobile di turno e chi invece preferiva sputare sangue da ogni parte del corpo invece che vendersi.

Plebe incallita e rivoltosa ieri, ultras liberi e diffidati per mentalità oggi. Qualcuno sarà certamente contento della nostra assenza, potrà sguazzare più liberamente per arricchire i propri interessi ma non basta certo una diffida per farci stare zitti.

Ho deciso di vivere così, col pugno chiuso e la rabbia che mi scorre nelle vene, ho deciso di non fare un solo passo indietro quando ingaggio una battaglia con un nemico, reale o fittizio che sia. Ho fatto tanto errori lungo il mio cammino ma non porto rimorsi nell’album dei ricordi. Ho deciso di vivere ogni giorno della mia vita come se fosse l’ultimo giorno di una battaglia che bisogna vincere a tutti i costi, consapevole che la vittoria non si conquista solo sulla carta.

Si vince anche perdendo. Abbiamo vinto anche quando la nostra squadra incassava quattro reti e noi, tutti a torso nudo, urlavamo la nostra libertà al cielo. Ed è lì che i nostri cori, oltrepassando l’antistadio, vagando per la città e colorando le nostre strade, arrivavano alle mura delle galere, dove altri nostri fratelli pagano le loro scelte. I pensieri non hanno catene, superano qualsiasi prigione, scavalcano le restrizioni. I pensieri hanno le ali e volano liberi nei nostri sogni. “Nessuno mai potrà imprigionare le nostre idee” e poi ancora “Negli stadi, nelle carceri, nella strada: chi semina repressione raccoglie intifada”.

Lo scriviamo sui nostri striscioni che campeggiano alla testa di un corteo colorato che chiede libertà e giustizia. Un blocco di guerrieri che avanza. Il sogno “uno x tutti e tutti x uno”, mentre lo sguardo di ognuno di noi è la linfa per quello degli altri. E’ un gruppo compatto che cammina lungo le strade senza tempo, pronto a scontrarsi solo se ne vale la pena. Anche il teppismo può essere creativo, anche il teppismo ha una ragione, non è solo becera violenza. Sono stato diffidato perché non ho fatto un passo indietro, ho avuto ciò che mi meritavo perché mi sono comportato da ultras non da criminale, come faccio dall’ormai lontano 1995, sono ciò che sono senza chiedere il permesso a nessuno.

Ho difeso la mia pelle e quella dei miei fratelli in un corpo a corpo d’altri tempi: è stato bello, mi sono sentito veramente vivo. Non ho fatto un passo indietro perché quando le urla chiamano la carica, preferisco fronteggiare il nemico e guardarlo negli occhi invece di colpirlo all’improvviso alle spalle nascondendomi dietro a una recinzione. Mi sono emozionato ancora di più quando ho visto i miei compagni indecisi che indietreggiavano ed ho reagito con tutta la forza rimasta nel mio corpo mentre un branco di razzisti urlava: “Porci, tornatevene al centro sociale a farvi le pere con i barboni!”…

Il sangue che mi schizzava dalla bocca per una pietra tirata da un infame da un metro di distanza più che mettermi fuori gioco mi ha dato la grinta per il rush finale. E’ stata una reazione così spontanea che ha generato in alcuni di noi quella rabbia che molti giornalisti da quattro soldi hanno etichettato come “vendetta premeditata”. Peccato che chi veramente doveva vendicarsi non c’era.

Da questa storia ho imparato tanto. Ho capito che anche i nemici possono avere una dignità, forse anche dei fascisti senza cervello… perché quando ti scontri fra ultras esiste un codice non scritto che evita che ci scappi il morto altrimenti ogni domenica piangeremmo delle vittime. Ho imparato, anzi ho avuto la conferma, che ultras è diverso da tifoso e che la società non c’entra un cazzo con noi… Non sono altro che manichini nelle mani dell’industria calcio. Ognuno stia al suo posto… Diffidato per mentalità!

Assenti Presenti – Un diffidato ribelle