Omicidio Bergamini, la consulenza Coscarelli smontava (già) pezzo per pezzo i rilievi del brigadiere Barbuscio

Il pubblico ministero del processo Bergamini, il dottor Luca Primicerio, aveva previsto per l’udienza di ieri non solo le testimonianze del consulente di infortunistica stradale Francesco Miglino e dei carabinieri del Ris Aldo Mattei, Carlo Romano e Vincenzo Lotti, ma anche quella del medico legale Pasquale Coscarelli, che in pratica è il primo a sconfessare clamorosamente i rilievi del comandante dei carabinieri di Roseto e a “costringerlo” a prenderne atto. Coscarelli li smonta pezzo per pezzo. E però ieri non era in aula e pare che abbia scritto al pm per fare presente che non ha più documentazione e che fatica a ricordare. Ma è del tutto evidente che – volente o nolente – dovrà comparire davanti alla Corte per il ruolo fondamentale che ha avuto nella ricostruzione della dinamica con la quale è stato inscenato il falso suicidio di Denis Bergamini.

Già dalla consulenza effettuata dal medico legale, prof. Pasquale Coscarelli, dunque, emergevano dati di estremo interesse, che purtroppo all’epoca sono stati del tutto sottostimati. A ben vedere, fin da quel momento risultava in modo chiaro che le cose non tornavano su quanto dichiarato dai protagonisti della vicenda.

Il primo punto di domanda riguarda la zona della piazzola di sosta dove si sarebbe fermata la Maserati di Bergamini con a bordo Isabella Internò. In realtà, esisteva una zona ben individuabile quale piazzola e ampia zona successiva, che non era definibile come tale. Ma proprio la confusione generata relativamente a fin dove arrivava effettivamente la piazzola, probabilmente non ha consentito di comprendere appieno come la ricostruzione dei fatti non corrisponde per niente alla reale dinamica. Ma quella confusione era stata creata proprio dalla planimetria, del tutto errata, fornita dal brigadiere dei carabinieri Barbuscio, che mal collocava la piazzola rispetto al punto di rinvenimento del cadavere “mangoandosi” almeno 30 metri di distanza dalla piazzola da quel punto.

Il prof. Pasquale Coscarelli si reca a Roseto Capo Spulico il 28-11-1989 e fu il primo a redigere planimetria sufficientemente esatta che ancora oggi possiamo utilizzare per comprendere effettivamente la distanza esistente dalla piazzola al punto di rinvenimento del cadavere. E tale planimetria è ben diversa da quella elaborata dal brigadiere Barbuscio. Ma procediamo con ordine e veniamo in particolare al quesito che poneva il pubblico ministero a Coscarelli quel 28-11-1989.

Al consulente si chiedeva in sostanza questo: “Dica in particolare se il punto d’arresto dell’automezzo localizzato a mt. 49,10 rispetto al punto di impatto sia compatibile con un peso di quintali 138,72 ad una velocità indicata sul cronotachigrafo in atti”. Si voleva insomma sapere se quelle tracce di strisciamento del corpo per 49,10 metri risultassero compatibili. Queste tracce erano state evidenziate dal brigadiere Barbuscio e in realtà servivano soltanto a fare coincidere il punto di impatto con quanto falsamente dichiarato da Isabella Internò e da Raffaele Pisano. E dunque mente spudoratamente anche il carabiniere. Sì, perché già la consulenza Coscarelli smentiva con certezza che quelle fossero le tracce del trascinamento del corpo. E già dopo questa consulenza emergeva (o meglio, sarebbe dovuto emergere) che le cose dovevano essere andate diversamente da come venivano rappresentate.

Coscarelli si reca a Roseto Capo Spulico il giorno 28-11-1989 e fa intervenire il brigadiere Barbuscio per chiarimenti e precisazioni riferiti al rilievo planimetrico da lui redatto e sottoscritto. Ecco cosa rileva Coscarelli della traccia di trascinamento del corpo: “… traccia di strisciamento del cadavere sull’asfalto individuata sulla foto n.6 e riportata sul grafico della larghezza di m.49,10 e che in sede di sopralluogo non veniva riconfermata dai verbalizzanti perché il cadavere anche se vincolato e trascinato non poteba produrre segni e scalfitture sul piano stradale di durezza e consistenza superiore sia agli indumenti che alle parti anatomiche del corpo del pedone e senza l’evidenziazione di macchie di sangue… Pertanto tale traccia è di dubbia attribuzione anche perché nella stessa foto si evincono altri segni sul piano viabile (verosimilmente di pneumatico), la cui attribuzione è essa pure dubbia…”.

E ancora, sul contatto tra lo pneumatico e il corpo: “Tale contatto si verificava praticamente nella fase terminale dell’investimento e più precisamente nello spazio compreso entro 1 metro circa dalla posizione di quiete in cui veniva rilevato il cadavere, poiché lo stesso non veniva totalmente travolto…”.

C’è di più. “E’ opportuno chiarire – scrive il prof. Coscarelli – che la traccia di strisciamento rilevata dai carabinieri ed attribuita al corpo del pedone della lunghezza di mt. 49,10 non trova attinenza e riscontro con le fasi dinamiche del sinistro in esame… Infatti se l’investimento si fosse verificato in una qualsiasi posizione delle fasi comprese tra il punto d’urto indicato e il termine della piazzola di sosta, necessariamente si sarebbe dovuto verificare un agganciamento tra il pedone e il settore inferiore dell’autocarro con il contatto del pedone medesimo costante e persistente con il suolo e con conseguenti lacerazioni sia sugli indumenti che sul corpo e quindi tracce di sangue estese su un lungo tratto del piano viabile; in tale ultima ipotesi il corpo del pedone sarebbe stato totalmente travolto dalle ruote del veicolo pesante…”.

E Coscarelli aggiunge: “Si precisa infine che in sede di sopralluogo lo stesso comandante dei carabinieri di Roseto Capo Spulico brigadiere Francesco Barbuscio, conferma oralmente la dubbia attribuzione delle tracce di strisciamento indicate nel suo rapporto”. I dati sono inequivocabili ed ecco qual è la conclusione del consulente tecnico in risposta al quesito posto dal pubblico ministero: “La distanza di mt. 49,10 tra il punto di arresto e l’inizio della traccia di strisciamento rilevata dai carabinieri, che per come evidenziata è di dubbia attribuzione, e che comunque non coincide con il punto di impatto con il pedone, non risulta compatibile con azione frenante alla velocità indicata dal cronotachigrafo di km/h 30-35 per il veicolo in esame gravato di un carico di 138,72 quintali…”.

Dunque, il brigadiere Barbuscio prende atto di quanto osserva Coscarelli ed è d’accordo… E come poteva essere altrimenti? Era ed è davvero del tutto evidente. Il primo pilastro su cui si reggeva la ricostruzione dei fatti operata dal brigadiere, già dieci giorni dopo i fatti crolla: il corpo di Bergamini non è stato trascinato e Coscarelli ci dice addirittura che il corpo è finito sotto la ruota del camion pochi metri prima del punto in cui è stato rinvenuto il cadavere. Nessun trascinamento, dunque, e la traccia di strisciamento del corpo individuata dal brigadiere Barbuscio (metri 49,10) cui va aggiunta la lunghezza del camion – metri 9,40 – e la distanza del corpo dal camion, non era certo una traccia di strisciamento del corpo. E tutto questo era già chiaro dieci giorni dopo l’omicidio… A quel punto Coscarelli, al fine di ipotizzare il punto d’urto del camion con il corpo di Bergamini, non può che fare riferimento ai normali parametri utilizzati, vale a dire valutare la velocità con cui procedeva il camion (all’incirca 30 km/h) e il tempo psicotecnico valutato mediamente in un secondo. E concludeva: “In considerazione di quanto esposto è verosimile che la “fase d’urto” si verificava a metri 10 circa prima dell’inizio dell’azione frenante e quindi a m. 15-18 circa dalla fase di statica finale”. E Coscarelli non disponeva del mezzo coinvolto (lasciato incredibilmente in facoltà d’uso al titolare…) e non si era reso conto che il camion non presentava alcun segno d’urto nella parte anteriore. E non abbiamo ancora finito, perché successivamente la condotta del prof. Coscarelli risulterà parecchio ambigua.