Omicidio Cocò, Iannicelli si fidava di Donato e Campilongo

Giuseppe Iannicelli e la sua compagna

L’operazione della Dda mirata a scoprire la verità sulla strage di Cassano e sull’omicidio del piccolo Cocò si carica di mille significati.

Si è ormai risaliti ai movente. Il dissidio con Giuseppe Iannicelli si era ulteriormente acuito in tempi recenti, in seguito alla diffusione della notizia secondo cui l’uomo sarebbe stato intenzionato a collaborare con la giustizia, nonche’ per l’apertura di un autonomo canale di approvvigionamento di stupefacenti che comprometteva il monopolio imposto dal clan degli zingari nell’area di influenza.

I due destinatari dell’ordinanza, legati alla vittima, Cosimo Donato e Faustino Campilongo, sarebbero stati incaricati di attirare Iannicelli sul luogo delll’appuntamento in cui e’ stato consumata la strage. Dei due la vittima si fidava. Dipendevano, infatti, secondo gli inquirenti, da Iannicelli per la distribuzione di stupefacente nei comuni di Firmo, Lungro ed Acquaformosa nel Cosentino. Avevano, inoltre, contratto un ingente debito relativo ad alcune forniture di droga acquistata in conto vendita dalla vittima.

Non sopportando piu’ la subordinazione a Iannicelli, aspirando ad assumere una posizione di rilievo criminale sul territorio in cui operavano, avrebbero deciso di assassinarlo. Le indagini si sono avvalse delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia e delle dichiarazioni rese dai numerosi famigliari delle vittime, tutti pregiudicati per reati inerenti agli stupefacenti, armi, tentato omicidio ed altro.

Un’intensa attivita’ investigativa, con il supporto di mezzi tecnici, avrebbe consentito di ricostruire i movimenti degli indagati nell’arco temporale in cui si e’ consumato l’omicidio, sia attraverso l’analisi dei dati di traffico delle utenze telefoniche, sia delle celle radio base individuate che avrebbero indicato la presenza dei due presunti assassini nelle immediate vicinanze del luogo in cui furono rinvenuti i tre cadaveri.

Da intercettazioni telefoniche ed ambientali, prevalentemente in lingua arbereshe, sarebbero emersi ulteruiori riscontri alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e dai familiari delle vittime. L’indagine, oltre a ricostruire il triplice omicidio sin dalle sue fasi preparatorie, avrebbe consentito di individuarne il movente e la sua connotazione tipicamente mafiosa nonche’ di evidenziare le dinamiche mafiose tuttora insistenti nel territorio della Sibaritide.

(AGI)