Il direttore del Corriere della Calabria è nervoso. Molto nervoso. Questa brutta storia (al cubo) del mega appalto di Calabria Verde, legata a doppio filo a quella della gestione della depurazione cosentina, lo sta facendo andare fuori dai gangheri.
Stava filando tutto per il verso giusto, gli imprenditori napoletani Alfonso Gallo e Luigi Matacena, entrambi riconducibili al faccendiere “segreto” Luigi Bisignani, ma soprattutto funzionali alla sua matassa politica, stavano per incassare decine e decine di milioni quando qualcosa gli è sfuggito di mano. Colpa di magistrati onesti, anche bravi. E per giunta tirati per la giacchetta dalle pedine della politica ingorda. Il classico “pasticciaccio”.
Pollichieni ha fatto in tempo a preparare il piano B. Ed è finanche riuscito a parare il colpo della revoca del bando per l’azienda di Matacena inventandosi una piroetta carpiata per dimostrare che la colpa è tutta di Oliverio e Pignanelli (per come, in parte, lo è) o, al massimo, di qualche dirigente di Calabria Verde. E invece, ecco che esce fuori il nome che non doveva uscire. Prima la General Construction e adesso la Piemme&Matacena. Prima Gallo e poi Matacena. Apriti cielo!
Pollichieni si dimena come un cinghiale, del quale ha sia le proporzioni che il tenore, e inizia a mandare messaggi di minaccia a tutti. A Oliverio, a Carchidi, ai magistrati (!!!) suoi amici e chi più ne ha più ne metta. Perché, secondo il suo metro di giudizio, quelle carte che inguaiano Matacena (e quindi anche lui) le ha potute tirare fuori soltanto un magistrato… E se lo dice lui, c’è da fidarsi!
Il vero problema è che quelle carte iniziano a girare come trottole impazzite un po’ dappertutto. Altro che sito-spazzatura. Finanche il suo ex giornale, la Gazzetta del Sud, ha scritto chiaramente che quell’appalto di Calabria Verde era stato “cucito” su misura per qualcuno. Persino il Quotidiano ha scritto che ritornerà al mittente l’unica offerta pervenuta per la partecipazione al bando di gara, spedita da una ditta partenopea. Insomma, l’azienda Matacena non viene mai nominata come fa il sito-spazzatura ma non c’è dubbio che sia proprio quella ad aver presentato l’unica domanda. E come mai il Corriere ha clamorosamente “bucato” la notizia? E perché, se c’è una sola domanda, Pollichieni si affanna tanto a difendere la sua causa? Perché è un benefattore, forse un filantropo?
Decisamente troppi rospi da ingoiare in un colpo solo per uno come lui, abituato a dettare legge e a dare ordini. Coperto com’è da quel padrino politico che altri non è che Marco Minniti. E Pollichieni va sempre su tutte le furie quando qualcuno gli ricorda il suo passato. Perché gli vengono in mente i fantasmi e va in paranoia. Sta perdendo le galline dalle uova d’oro e non sa come fare, questo è chiaro come il sole. Perché, consentiteci, chi sarà mai il suo editore? Quello che appare sulla gerenza o quello che gli passa i soldi sottobanco per la sua informazione “libera”?
POLLICHIENI&MINNITI
Pollichieni, io sarò anche nullatenente e tutto il resto ma tu, guardandoti allo specchio, come ti definiresti? Faccendiere? Mestierante? Borderline? Decidi tu, non ti voglio condizionare nelle tue scelte. Intanto, però, è bene che qualcuno ti ricordi i tuoi rapporti con Minniti. Perché la storia rimane scritta e nessuno la può cancellare. Neanche i servizi segreti.
I due compagnucci (secondo quanto scrivono i loro rispettivi biografi) si conoscono da quando portavano i calzoni corti e la leggenda narra che sono stati anche compagni di scuola. Ebbene sì, sono stati giovani anche loro! Negli anni Novanta, quando Pollichieni, all’epoca cronista di punta della Gazzetta del Sud, finisce impelagato in una delicata vicenda giudiziaria, gli investigatori intercettano anche una telefonata che vede protagonisti il giornalista e Marco Minniti.
Minniti, in particolare, parlando al telefonino di Pollichieni, rassicurava il direttore della Gazzetta del Sud Nino Calarco, all’epoca presidente della “Ponte sullo Stretto”, che avrebbe fatto di tutto per inserire in finanziaria 5-6 miliardi delle vecchie lire per pagare gli advisor della società rimasti senza una lira.
“La chiamo oggi perché sono qui a Scilla con Marco e la voleva salutare” dice il giornalista al proprio direttore, appunto Nino Calarco, nel corso di una telefonata intercettata dagli investigatori il 30 luglio 1999. Il cellulare passa a Marco, lo 007 alla luce del sole: “Senti una cosa… l’unica potenza che tu non riesci a esplicare… con questi maledetti burocrati del ministero dei Lavori Pubblici… ancora questo decreto del bando non c’è!”.
Si trattava di un bando per il finanziamento della Società Stretto di Messina: Calarco, il presidente, avrebbe voluto che fosse acquisita dall’Anas. Un tema già trattato direttamente dal direttore della Gazzetta del Sud col premier Giuliano Amato.
Ancora Minniti: “Con Giuliano Amato com’è andata?”. Calarco: “Oh! Favoloso, favoloso… Però il problema, caro Marco, è che bisogna trovare nella Finanziaria un po’ di spiccioli perché io debbo chiudere la società: non ho più una lira!… Non è che è una grossa cifra… 4… 5 miliardi…”.
Insomma, che saranno stati mai? Bruscolini! Altro che Maroni e la Lega!
Ma non solo. Anche il generale dei carabinieri Francesco Delfino (condannato in primo grado per truffa ai danni dell’imprenditore sequestrato Giuseppe Soffiantini) in una telefonata intercettata il 9 settembre ’99 si rivolgeva a Pollichieni per sollecitare un intervento di Minniti in relazione alla sua vicenda processuale.
L’INCHIESTA
Quelle indagini condurranno all’arresto, l’anno dopo, di undici personalità, tra cui anche Paolo Pollichieni, allora responsabile della redazione reggina della Gazzetta del Sud.
Ci sarebbe stata una organizzazione operante nel territorio di Reggio Calabria in cui Mario Audino guidava le attività criminali e l’Edilminniti, amministrata da Giovanni Minniti, costituiva una delle espressioni economiche di maggior rilievo del sodalizio. Ci sarebbe poi stata una seconda componente, definita dagli inquirenti politico-affaristica, di cui tra gli altri avrebbero fatto parte Chizzoniti e Pollichieni, in grado di condizionare e influenzare scelte e decisioni degli enti pubblici locali e regionali, limitando e intimorendo l’ex vertice dell’azienda ospedaliera di Reggio Calabria. |
Il giornalista alla fine uscirà senza conseguenze dalla vicenda giudiziaria ma perderà il posto alla “Gazzetta” e sconterà un bel po’ di quarantena prima di rientrare, ovviamente da protagonista, nel panorama giornalistico calabrese.
Prende in mano Calabria Ora fin dal primo momento, contando sugli ammiccamenti dell’editore-usuraio Citrigno e sulla mancanza di attributi del direttore che firma. E così si diverte a smontare pezzo per pezzo l’indagine Why Not di De Magistris salvaguardando gli interessi di tutti i politici (senza distinzione di colore) finiti nella melma. Memorabile il sequestro di 3 milioni e mezzo di euro alla frontiera del Lussemburgo che annuncia dalle colonne del giornale come frutto delle indagini di De Magistris e di cui il magistrato viene a conoscenza leggendo… Calabria Ora! Perché lui è tutto e tutto può: investigatore, avvocato di parte, pubblico ministero, giudice, boia…
Chi ti ha dato la notizia della frontiera? La fatina turchina o l’uccellino di Del Piero? Nessuno dei due, perché lui è… la legge. Nel senso che la fa, legifera. Dal produttore al consumatore. I verbali secretati? Lui può pubblicarli, gli altri no. Perché lui ce l’ha più sopra, lo sanno tutti. E nessuno deve fiatare. Altrimenti arrivano Marco e i suoi amici.
Pollichieni e la General Construction ovvero Alfonso Gallo. Un’altra storia intensa. Non come quella con Marco, certo, ma con il suo perché. C’è da prendere in custodia un impianto di depurazione che la procura di Cosenza, dopo aver sequestrato per modo di dire, dissequestrerà. Ed ecco che arrivano Pollichieni e Gallo. La procura riapre e il Consorzio Valle Crati, presieduto da un tale la cui moglie è giudice a Cosenza, assegna l’impianto alla General in attesa della gara milionaria, la gara del secolo.
35 milioni diretti e 13 milioni all’anno di gestione delle acque reflue per 15 anni: un sacco di soldi. Pollichieni dice che l’impianto è a regola. Anzi, cita tutte le magagne che c’erano e che probabilmente ci sono ancora. Che ci siano fanghi altamente pericolosi gettati nei torrenti lo ammette lui stesso, quanto agli impianti di sollevamento c’è da verificare se funzionino quelli che hanno messo i suoi amici. E quanto al trucchetto delle centraline per sabotare i controlli dell’Arpacal è come parlare ai bambini di come si imbroglia quando si gioca a nascondino.
Ma finge di non sapere che è ancora rotta la briglia sul torrente Settimo, che consente l’adduzione dei reflui di Montalto al depuratore. Questo significa che le acque nere di Montalto e zone limitrofe vanno a finire direttamente nel fiume Crati. Per non parlare del sistema Cosenza-Rende, che sembra un colabrodo. E i suoi amici della General Construction che ci stanno a fare? I soliti maligni dicono che stanno lì in attesa di vincere la gara. La Conferenza dei Servizi era stata annunciata per il 2 dicembre ma non se n’è avuta notizia. Il tempo è tiranno, Matacena è stato sputtanato, Gallo quasi. I magistrati fanno sentire il fiato sul collo. Vuoi vedere che finisce col classico “culu ruttu e senza cirasi?”.
Nella migliore delle ipotesi: muoia Sansone con tutti i Filistei. Bene, bravo, bis: ma io non ho nulla da difendere, Pollichieni-Sansone invece parecchio: le macchine, gli appartamenti, i conti in banca, le missioni, la linea editoriale, i giornalisti.
Meglio essere nullatenenti ma onesti. Meglio rinunciare agli scoop informatissimi nei quali la verità non c’entra nulla. Perché Pollichieni la verità non solo non è capace di dirla o di scriverla ma non sa neanche cos’è.
Tutto il resto è… 007, la spia che mi amava… sul Ponte sullo Stretto.
Prossimamente su questi schermi.
Gabriele Carchidi
nullatenente