Roma Termini: lo specchio del nostro Paese

Termini: lo specchio del nostro Paese

di Gilda Pucci 

Termini non è soltanto uno snodo ferroviario fondamentale, il grande scalo della città di Roma e dell’intero Paese, tra gente che va e gente che viene, arrivi e partenze, ma è un modo sempre nuovo di incontrare, incontrarsi, riconoscersi e raccontarsi. Termini è un ponte tra due realtà sociali che si sfiorano quotidianamente senza però mai trovare un punto di contatto: gli sguardi si incrociano per pochi secondi e a volte non si percepisce che una sensazione di accusa, di condanna straziante.

Ci sono i passeggeri indaffarati e indifferenti imprigionati nei loro completi eleganti e griffati con in mano l’immancabile e agile valigetta, e ci sono i clochard italiani, i migranti irregolari che in cinque secondi ti procurano un falso passaporto o una dose da pochi soldi, i clochard stranieri, gli ubriachi estremamente irascibili e senza dubbio gli uomini più soli. I barboni vivono la stazione come una casa, un rifugio per ripararsi specie nelle notti più fredde, quelle gelide e umide dell’inverno romano. Un po’ di calore gli viene offerto solo dalle puttane, donne o ragazzette già sfatte e logorate, per lo più straniere, che le ritrovi puntualmente a chiedere: «Sesso, voi sesso?». Gli ultimi del mondo sono lì, tutti i giorni gettati lungo i marciapiedi, e li vedi sgranocchiare croccantini per animali sempre però con una bella scorta di birra. Probabilmente alla ricerca di una realtà migliore. Termini è diventato il luogo perfetto per chi ha deciso di sopravvivere, piuttosto che vivere, scegliendo il mestiere del borseggiatore esperto e del pusher di professione, o rinunciando semplicemente ai propri affetti affermandosi esclusivamente come uomo/donna d’affari.

Stazione Termini è un piccolo mondo, lo specchio fedele del nostro Paese, spaccato tra i dolci, gentili e delicati profumi Chanel e Armani esposti nelle vetrine dei negozi tanto “expensive” della stazione e quelli un po’ più intensi, forti, del “kebbabbaro” senza norme igieniche dietro l’angolo o addirittura del puzzo di piscio lungo i vialetti. Una realtà dove la classe media tende a scomparire. Questi due microcosmi si incrociano ma non si fondono mai veramente e gli scambi ferroviari si trasformano in scelte di vita, in un riflesso perfetto, esatto, di una nazione che ha fallito: i giovani sono costretti ad una maratona lavorativa, alla vita del pendolare senza attracco e futuro, proprio come un bel “pacco” che arriva agli studenti da giù ogni mese, sbattuti da una parte all’altra fra un contratto breve e uno stage di sei mesi senza paga; la realtà dei senzatetto non si riesce a gestire. Reietti, emarginati, accattoni, delinquenti, miserabili, gente che ha perso il lavoro, che ha una pensione minima insignificante per pagarsi anche le medicine, ogni giorno, ma soprattutto la sera dopo le 20.00 (l’ora del coprifuoco per i residenti del posto), si sorreggono l’uno con l’altro nella disperazione e nel vizio.Ci sono tante, seppur ridotte, Termini in ogni regione, anche in Calabria, ma nessuno se ne accorge. Ponti, decorazioni, villaggi commerciali, offuscano il disagio. La gente che non parla italiano viene malmenata, come il ragazzo pestato all’Unical, chi appartiene ad un’altra cultura viene spintonato in metro, preso di mira, qui a Roma.
Dicevano: «Ti abituerai alla gente che parla da sola, a quella buttata a terra, a quella che soffre avvolta in lenzuola sporche al freddo sotto il Vittoriano, alle persone che si menano solo perché hanno un colore di pelle diverso, all’inumano». In realtà, io non mi sono mai abituata, non mi sono mai abituata alla decadenza di questo Paese.