Sistema Catanzaro: in nome del Padre, del Figlio e… della Chiesa massone

Abbiamo visto nella nostra analisi con la ricostruzione dei fatti che la Chiesa calabrese è alleata con la massoneria, ma anche sodale con la ‘ndrangheta. Sono troppi i fatti che trovano inguaiati i prelati ed i maggiori rappresentanti della porpora, magari anche solo per fatto di morale. Questo impianto è la storia della Calabria che il Procuratore Gratteri sta cercando di riscrivere con evidenti correzioni, ma che non sembra incrociare grande entusiasmo proprio dall’istituzione Chiesa, quello che vada oltre “la solidarietà di facciata”.

Il tentativo di spostare proprio Gratteri in forza di una “promozione” ad un ruolo più importante, quello che per tutti ha il sapore della rimozione, è l’unico passo necessario per salvare il sistema, non ha trovato fino ad oggi grandi barricate da parte della Chiesa di Calabria e, soprattutto della Cec, la Conferenza Episcopale Calabra, che proprio a Catanzaro ha il suo maggiore rappresentante, il vescovo Vincenzo Bertolone.

Proprio la Curia di Catanzaro è la terza gamba del sistema Catanzaro, che insieme alla politica ed alla massomafia governano i processi di sviluppo della città, facendo affari, nella logica cristiana dell’ostia e del pugnale…tanto che proprio Gratteri è anche per loro un problema e non un opportunità.

La Chiesa catanzarese “illuminata” del vescovo Bertolone mantiene la sua influenza tra i grandi e si accaparra il consenso dei piccoli che nei suoi uomini più veri vede una speranza di sopravvivenza. Con una mano affama con l’altra sbriciola avanzi, con una commercia con l’altra lenisce le ferite, con una gioca nei grandi sistemi economici e sanitari e con l’altra destina spiccioli ai più disperati… Con una crea la domanda, con l’altra una misera offerta. Potere e consenso, in una sola mossa.

Questa è la storia catanzarese della Chiesa e del potere, quello che si manifesta nelle istituzioni, come il comune di Catanzaro dove navigano nella zona grigia a braccetto con gli incappucciati, assessori dal dubbio valore politico e morale, allevati a Vangelo e santini che usano la Res pubblica per i bisogni di famiglia e dei cugini. Capiamo che abbiamo abbuffato la uallera all’assessore, figlio diletto della Curia, ma comprenderà il “professore” di religione cattolica Danilo Russo che non è un fatto personale, ma è la reprimenda di un atteggiamento sfacciato e poco oculato, perché accettato e taciuto dal sindaco Sergio Abramo e proprio da quella Curia che dovrebbe avere fermo il concetto della morale.

L’importanza della memoria ci riporta ad una certezza riconosciuta: Catanzaro è la città della massomafia.

L’operazione “Basso profilo” ha tracciato i confini di come la città di Catanzaro sia diventata un “sistema”, dove alcune prescrizioni di inconciliabilità hanno un eccezione, quella dettata dalla connivenza e dalla corruzione fra la politica, la massoneria, la ‘ndrangheta, gli imprenditori senza scrupoli, i colletti bianchi ed i servitori dello Stato corrotti e corruttibili, ma soprattutto la Chiesa, quella che ha sporcato la porpora. Perché a Catanzaro, la Curia locale  ha trasformato la celebrazione del rito cristiano nell’ostentazione di un potere, da dove passano gli interessi non solo spirituali, ma quelli mediocremente più terreni. E’ per questo che la Curia catanzarese nella “vigna del Signore” ha licenziato i lavoratori, quelli che citava Ratzinger appena eletto Papa Benedetto XVI nelle sue prime parole: «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», sostituendoli con i liberi muratori travestiti, ma senza odore di santità…

Il valore della verità sfugge al radar della città capoluogo di regione, perché ormai da anni è stata imposta una specie di no fly zone. Uno scudo spaziale che sovrasta la città voluto dalla massomafia, ma benedetto anche da quella Chiesa poco incline al pentimento e molto attenta alle miserie umane ed al benessere dei suoi figli prediletti. Ecco che diventa normalità la commistione con la massoneria superando i richiami di Papa Francesco, ma soprattutto superando il valore della dottrina, che sancisce, pena la scomunica, l’inconciliabilità fra la porpora ed il grembiule. Nei fatti la Chiesa in Calabria ha sempre avuto un atteggiamento ondivago ed utilitaristico riuscendo ad oscillare fra la ‘ndrangheta e la massoneria, in quel perimetro grigio dove il Vangelo si integra con i santini, simbolo riconosciuto di affiliazione ‘ndranghetista, proseguendo in un cammino di collaborazione economica con le “obbedienze” massoniche che a Catanzaro hanno sempre avuto un retroterra significativo ed importante di colletti bianchi ed infedeli servitori di Stato. Questo è il quadro della città di Catanzaro, una rappresentazione autenticamente spregiudicata ed illegale, accettata da tutti perché “garanzia” di impunità, almeno fino all’Anno Domini 2016, che coincide con l’arrivo del Procuratore Gratteri.

Attento a dove le appoggi! Sporcale pure le mani. Immergile nella storia del mondo, ma non ti sporcare il cuore” (don Tonino Bello).

Molte sono le occasioni di imbarazzo della Chiesa calabrese e di quella catanzarese, che ritroviamo nelle inchieste della Dda di Catanzaro, dove politici, prelati, imprenditori, colletti bianchi e infedeli servitori dello Stato sono stati il motore del compromesso anche di ‘ndrangheta, dove tutto era possibile e dove la città di Catanzaro era territorio di caccia. Quella Chiesa che senza azzardo abbiamo definito “postulatrice di massomafia”, come certifica ormai da tempo proprio il Procuratore Gratteri.

L’imbarazzo dovrebbe essere un sentimento diffuso e di riconosciuto pentimento della Chiesa calabrese, quello che può trasformarsi in risentimento del popolo cristiano, dove anche i vescovi, quelli che siedono al “Grande Oriente della Cec” (Conferenza Episcopale Calabra), avranno di che rispondere ad una giustizia terrena prima del pronunciamento di quella divina. Quella risposta e lo stesso imbarazzo che dovrebbe impegnare anche la diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea ad un pentimento serio. Se non è bastata la storiaccia sulla Fondazione di Mamma Natuzza ed il sodalizio del vescovo Luigi Renzo con riconosciuti esponenti della massoneria vibonese, altro motivo di imbarazzo e di silenzio a divinis della Cec è il rinvio a giudizio di due sacerdoti vibonesi. Uno è Nicola De Luca, di Rombiolo e reggente della Chiesa Madonna del Rosario di Tropea; l’altro è Graziano Maccarone, addirittura segretario particolare del vescovo Renzo.

Le accuse sono pesantissime e chiamano in causa addirittura la ‘ndrangheta. Il reato più grave contestato è quello di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Uno dei due indagati, don Graziano Maccarone, per farsi restituire dei soldi da parte di un suo debitore evocherebbe persino la parentela con i Mancuso di Limbadi. Proprio per questo motivo la vicenda si fa più inquietante e a procedere non è stata la Procura ordinaria di Vibo ma, addirittura, quella guidata da Gratteri, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Ma la curia di Mileto in uno scenario hot ai limiti del fetish, trascinando una presunta credibilità e cercando di fare opportuni chiarimenti, mettendo la pezza ad un buco più grosso, ha parlato di “pruriti” quando gli indagati sono sacerdoti ed evocando un etica professionale parziale, solo per mettere in evidenza ed in cattiva luce le persone. Aggiungiamo noi, se sono sacerdoti hanno una dispensa particolare fissata per ordine dalla curia, mentre se sono poveri cristi è giusto che siano dati in pasto alla folla, fatto salvo sempre i “figli” prediletti delle curie calabresi. Insomma vergogna alla vergogna. La Chiesa calabrese sottoscrive quel know how esclusivo dove il Vangelo si contamina con la “massomafia” per un esigenza di cassa ed il pulpito diventa palcoscenico utile da dove dispensare “pizzini”.

Non ci ha scandalizzato aver trovato traccia della storia della Chiesa calabrese e di quella catanzarese nei faldoni dell’inchiesta “Basso profilo”, perché coppola, cappuccio e zucchetto sono gli elementi cardine della storia di Catanzaro, quello che ci riporta anche ad un pezzo dell’altra inchiesta Farmabusiness e delle “ditte amiche” del sistema Catanzaro.

Chi parla, nella captazione del 21 marzo 2018 effettuata dalla Guardia di Finanza, con Antonio Gallo, il principino,  l’imprenditore anello di congiunzione fra la politica cittadina e le ‘ndrine e le locali del crotonese, è don Giovanni Scarpino, giornalista pubblicista, vice direttore del settimanale della Conferenza Episcopale Calabra “Calabria Ecclesia Magazine” e redattore del giornale della diocesi metropolita di Catanzaro-Squillace “Comunità nuova”. Nella stessa diocesi di Catanzaro riveste il ruolo di Cancelliere nella Curia metropolitana di Catanzaro-Squillace e di parroco di “San Massimiliano Maria Kolbe”, oltre che docente nell’Istituto Teologico Calabro “San Pio X” di Catanzaro e Direttore regionale dell’Ufficio Comunicazioni e Cultura della CEC (Conferenza Episcopale Calabra), oltre che riferimento del “Movimento Apostolico”. Non è certamente l’ultimo prete della Chiesa catanzarese, ma il collaboratore più diretto e cancelliere della curia del Vescovo Vincenzo Bertolone, presidente della Cec.

Parliamo di “panni sporchi” della curia catanzarese, quelli che certificano la relazione fra ‘ndrangheta e colletti bianchi, tramite Antonio Gallo detentore dei rapporti pericolosi con preti e prelati, come don Giovanni Scarpino ed il parroco di Vallefiorita, Marcello Froiio in un incontro all’interno di una gelateria a Roma. Non si tratta di una necessità spirituale del Gallo, ma è invece una richiesta di aiuto ai prelati nella convinzione di avere il fiato sul collo da parte degli investigatori guidati da Gratteri. È lì che Gallo si confessa. E il don subito lo rassicura raccontando un episodio che ha del tragicomico. “A questo qua – un sacerdote della diocesi di Catanzaro, don Nicola Rotundo – lo tartassavano…sono stati tre o quattro mesi là…chiusi…lui gli dava una stanzetta…quelli si chiudevano…no?…Lo abbiamo detto al Generale…il Vescovo…che era Ciliberti.. lo disse al Generale…vedi che questa è un’azienda perbene”…discorso chiuso e verifica della GdF conclusa nei confronti della Reti Sud di Catanzaro! Sentire che il prelato aveva interessato un vescovo perché interpellasse un generale della Guardia di Finanza per intervenire sulla pattuglia – annotano gli investigatori – lascia quanto meno sbigottiti. Come sbigottiti lascia la facilità con cui gli indagati potevano avvicinare altri ufficiali della Gdf, da interpellare all’evenienza”.

Non scandalizza capire che alcune vicende hanno una speciale benedizione se trovano la riconoscenza dei riferimenti importanti della Chiesa calabrese, è un metodo riconosciuto. Il vescovo che si interessa alla conclusione di una vicenda tributaria di un suo sacerdote – don Nicola Rotundo già responsabile import-export dal 1996 al 2004 della Reti Sud srl – è Antonio Ciliberti, già vescovo della curia di Catanzaro-Squillace e predecessore dell’attuale presidente della Cec, Vincenzo Bertolone. Tutto viene narrato come se fosse un fatto di normalità, come se la curia locale oltre a curare le anime, curasse pure gli interessi economici dei suoi figli prediletti dalle verifiche della tributaria. Metodo consolidato, una specie di inquisizione al contrario dove la violenza della Chiesa non colpisce i nativi delle nuove terre, bensì il valore della trasparenza e dell’uguaglianza delle istituzioni, in tutte le declinazioni, nei confronti dei cittadini. Il vescovo Ciliberti era un affezionato ed un cultore “degli interessi della curia” rispetto alle istituzioni democratiche, fu anche indagato per false dichiarazioni al Pm, posizione poi stralciata, in un procedimento di concussione che riguardava un assessore della giunta Abramo, in relazione ad un affidamento alla Fondazione Città Solidale.

L’interessamento della Finanza sugli affari della famiglia Rotundo e di don Nicola, diventano il paradigma di come funziona il sistema Catanzaro e di quanto possa essere influente e determinante la “chiamata” di Santa Romana Chiesa, quella che ferma l’azione della macchina dello Stato e soprattutto discrimina in base ad un appartenenza, mutuando una logica di fratellanza non solo in Cristo, ma anche nel compasso. Don Nicola Rotundo è un sacerdote della Diocesi di Catanzaro-Squillace, ha conseguito il Dottorato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana in Roma ed è attualmente Docente Associato nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione S. Tommaso d’Aquino in Napoli e presso l’Istituto Teologico Calabro in Catanzaro, quindi non è certamente uno sprovveduto, rappresenta la curia e l’Ordinario di Catanzaro-Squillace – il vescovo – nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Betania ONLUS da maggio 2017, quella che resta la realtà sanitaria-imprenditoriale più importante della curia catanzarese e nel panorama dell’assistenza convenzionata al Servizio Sanitario Nazionale.

In questa narrazione che cerca di dare una ricostruzione storica della vicenda Catanzaro ormai assunta a sistema di grande evidenza è il ruolo della curia non certo in termini di riscatto sociale e cristiano. Siamo invece al cuore del meccanismo, il sistema, dove tutto trova un momento di incontro, dalle miserie piccole dell’assessorucolo della città protetto dai prelati locali, quel Danilo Russo che ha creato il metodo “parentopoli” nel comune di Catanzaro, protetto dai cappucci e grembiuli locali, simpatici e tollerati dalla Chiesa cittadina, per arrivare ai grandi interessi sia politici che speculativi edilizi. Non è un fatto sconosciuto che dalle sacre stanze della curia in Via dell’Arcivescovado siano passate le candidature per il Parlamento italiano, quelle che troviamo come un cammeo nelle intercettazioni di Rinascita Scott in un rapporto ipotizzato e, smentito prontamente, che vedeva il Procuratore Gratteri, partecipare a cene in continuità con il sistema di complicità della magistratura catanzarese ante 2016.

Le segreterie del vescovo Bertolone sono di fatto un centro di potere non solo spirituale, ma assolutamente “temporale” nella rilettura in contrapposizione della storia dei successori dell’apostolo Pietro. Esiste in quelle stanze una grande cultura quasi antropologica del fenomeno ‘ndragheta, avendo il vescovo di Catanzaro-Squillace conosciuto realtà più accreditate al fenomeno, come Cassano allo Jonio, tanto che la sua conoscenza si è trasformata in materia di studio e di preparazione dei nuovi sacerdoti calabresi. Il risultato? Non è dato a sapersi, ma è certamente irrilevante se quello che emerge è una commistione diffusa anche nel perimetro della curia catanzarese del fenomeno massomafioso, da parte di prelati o laici figli prediletti, quello che ha un quid in più rispetto ad una conoscenza storica di più basso livello, diciamo pure di “Basso profilo”.

“La lotta alla mafia, bussola per ripartire” è l’intervento di monsignor Vincenzo Bertolone del maggio 2020, molto prima della conoscenza di tutti del sistema Catanzaro e delle “collaborazioni” della sua curia con la massomafia cittadina e con il sistema amico.  C’è un passo significativo che riportiamo, perché in fondo rappresenta l’obiettivo, forse che abbiamo in comune, quello di ricercare la verità: «Nel mezzo, arranca un’umanità confusa, che sconta la preesistente carenza di valori e punti di riferimento priva com’è di una bussola che indichi la strada giusta. Eppure, una stella brilla e, come la cometa, segnala il percorso. Se solo gli uomini accettassero, come i Magi, di mettersi alla ricerca della verità, si accorgerebbero in realtà che poco o nulla c’è da inventare: dovrebbero solo cercare».

Noi la stiamo cercando questa verità senza la necessità di interrogare le stelle e, seguendo il suggerimento del vescovo Bertolone faremo con i Magi, non promettendo però stupide adorazioni, quelle che si fanno per protocollo. Abbiamo il fondato sospetto che questa città – Catanzaro – sia ormai destinata alla fine, certamente per l’abdicazione di ruolo della sua classe media, quella borghesia che si è venduta troppo facilmente alla massomafia e, per una benedizione di troppo, magari blasfema che il sistema non meritava. I cittadini ed il loro futuro appaiono inquadrati sulla banchina del “binario 21” rassegnati alla loro destinazione finale – i forni – che rappresentano la fine di una storia. E’ una nuova “shoah” dove al tavolo degli aguzzini siedono in tanti, tutti quelli che abbiamo conosciuto dalla narrazione della Dda di Catanzaro e del Procuratore Gratteri.

La Chiesa quella di Catanzaro è  “amica” delle obbedienze delle logge, è “amica” degli imprenditori amici, è “amica” della politica massomafiosa. E’ la stessa Chiesa che svolge l’esercizio spirituale, facendoli officiare a “santoni” assolutamente discussi nella città e, che sono motivo di imbarazzo per la curia. Stiamo parlando di don Francesco Candia, 41 anni nato e sacerdote del clero di Cassano all’Jonio dal 2005, è laureato in Sociologia presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino e ha un dottorato in Diritto Canonico conseguito a Roma, presso la PUL. Nel 2005 ha svolto la sua esperienza pastorale presso la missione cattolica italiana in Inghilterra. È giornalista, ha lavorato presso l’arcidiocesi di Urbino e dal 2007 è segretario particolare e maestro delle celebrazioni liturgiche di monsignor Vincenzo Bertolone, Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace. Dal 2012 è Cappellano delle Suore del Beato Palazzolo. È Giudice presso il Tribunale Ecclesiastico Calabro. Si narra che  don Francesco Candia al mattino piuttosto che recitare i vespri, preferisca consumare abbondanti colazioni nei bar della città in compagnia delle “ditte amiche” del sistema Catanzaro, affondando le mani nelle tasche capienti della Chiesa catanzarese, quelle che restituiscono “malloppi” di denaro, al pari delle ostie del tabernacolo.

Non è nostro desiderio rompere la liturgia, abbiamo semmai desiderio di una rivelazione arcana, che smuova tutte le altre, risolvendole in un falò. Desideriamo una parola pura, definitiva, complice di ogni nostro desiderio: proprio su questa verità all’eccesso, inseguita e mai agguantata, quella stessa verità che monsignor Bertolone ricerca con l’aiuto delle stelle, ma che viene nascosta alla città di Catanzaro. Noi siamo per la verità, dove il dogma non giustifica il complotto ed una fratellanza ambigua, siamo per gli eccessi anche nella ricerca, tanto che anche il Vangelo di Giuda per noi è un valore di verità, di fratellanza, quella tenerezza di carità autentica. È il ‘personaggio’, però, Giuda, specie di Messia capovolto, ad attrarre, quasi fosse lui l’autentico Pietro, quasi che la storia del cristianesimo, in fondo, non fosse che un gigantesco, sibillino fraintendimento. “Il traditore Giuda” ha saputo tutto con esattezza; egli solo tra tutti ha conosciuto la verità ed ha compiuto il mistero del tradimento.

Nel 1958 don Primo Mazzolari dedica una celebre omelia a nostro fratello Giuda, “uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E chiamandolo fratello, noi siamo nel linguaggio del Signore. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: ‘Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo!’. Amico! Questa parola che vi dice l’infinita tenerezza della carità del Signore, vi fa’ anche capire perché io l’ho chiamato in questo momento fratello”.

Carità, fratellanza e verità sono valori riconosciuti anche dalla Chiesa cattolica, che non possono essere messi nelle retrovie della coscienza, solo perché “alcuni” uomini peccatori di questa Chiesa devono tutelare un sistema, dove il denaro è un valore unico, capace di superare gli insegnamenti di una dottrina solo recitata e le speculazioni anche edilizie hanno un perché. In questi ambiti la Chiesa cittadina recita il suo copione e gli incroci li ritroveremo in altre vicende, magari al momento fuori da fascicoli d’indagine della Procura di Catanzaro, ma che restano notizie interessanti per le orecchie del Procuratore Gratteri, che non è amico dei prelati discussi e massoni della città, tanto meno protettore delle loro marachelle…