“Tra la Champions e la Libertà”. Padovano ricorda il suo arrivo a Cosenza grazie a Ranzani e a Giusto Lodi

Michele Padovano presenta “Tra la Champions e la libertà” (Cairo): diciassette anni di processi, la prigione, gli arresti domiciliari, l’obbligo di firma, migliaia di carte presentate ai giudici finché la verità è stata finalmente riconosciuta: Michele Padovano è innocente. Michele Padovano non è il più grande narcotrafficante del mondo del calcio. Un lungo cammino di errori giudiziari, nel quale l’ex attaccante di Cosenza, Pisa, Genoa, Reggiana, Napoli e Juventus si trova invischiato suo malgrado e che ha deciso di raccontare in queste pagine portando a galla ricordi, emozioni, dolore ma anche le piccole e grandi gioie ritrovate durante il calvario. 

La biografia sarà presentata a Torino il prossimo 26 febbraio, alle ore 18, presso la Feltrinelli di P.zza C.L.N. 251. Nell’opera, Padovano descrive il suo percorso personale e ovviamente parla anche di Cosenza. Più precisamente di come arrivò nel profondo Sud dopo le sue prime esperienze calcistiche, supportate da un grande “alleato” di Michele, il papà Antonio.

“…. Papà ha un’idea bizzarra: “Secondo me potresti fare il calciatore. Credici”. Ha fatto scattare un interruttore (lui si che da dove mettere le mani… si occupava di materiali elettrici, ndr).

L’ho sempre fatto per passione, ci ho sognato sopra, immaginandomi persino in Nazionale, chi non l’ha fatto? Però non avevo mai pensato seriamente di poterne fare un mestiere. Lo faccio ora e inizio a giocare con la stessa intensità ma con maggiore determinazione, come se dovessi guadagnarmi lo stipendio e il mio stipendio è il gol…

Padovano a quei tempi gioca ancora tra i dilettanti, con il Barcanova, una delle squadre dilettantistiche più forti della provincia di Torino e il suo cartellino è stato comprato da un certo Cavallo, una specie di procuratore ante litteram. Michele segna tanti gol, guadagna anche qualche soldino e allora Cavallo si mette in moto…

Incasso a ogni partita e Cavallo mi propone al Ravenna, in Serie C2. Svolgo la preparazione estiva, con la prima squadra, ma poi vengo dirottato nella Primavera del Varese, all’epoca in Serie B. Sembra più interessato a trarre profitto dalla vendita del mio cartellino che non dalla mia crescita come calciatore, così papà se lo fa ridare… “Vieni” mi fa una sera “andiamo a riprenderci il cartellino”.

Non so come possa fare, visto che conosco la sua situazione economica, e sono certo che non può pagarlo, ma da come si presenta alla moglie di Cavallo, al citofono, capisco subito che non è questa la sua intenzione. “Fai uscire tuo marito, se no entro io”.

Il signor Antonio Padovano sa essere più che convincente ed è tramite le sue conoscenze che arrivo nella prima squadra dell’Asti, in Serie C1. E’ il mio primo lavoro. Lo stipendio non è straordinario: seicentomila lire al mese, ma per giocare a calcio mi basta e avanza. Anzi, non mi sembra neppure vero che mi paghino per essere felice.

L’allenatore è il signor Ezio Volpi, che, però, non mi tiene in considerazione e non gioco quasi mai. Perdiamo spesso e lui viene bersagliato dalle pressanti richieste di chi mi vuole in campo. “Senti” mi rivela sbattendomi in faccia la sua opinione, davanti a tutti nello spogliatoio “mi rompono le palle perché ti faccia giocare, ma voglio che tu sappia una cosa: io non ti vedo neanche. Tu per me non sei neppure un calciatore!”.

Voglio smettere di giocare. Forse neppure il calcio è il mio mestiere. Sono amareggiato, disilluso, scoraggiato. Confido a mio padre le mie intenzioni e il malessere da cui hanno origine. Lui non ne resta sorpreso. Non è mai stato un uomo di tante parole, ma sa dosare quelle giuste. “Miché, questo è solo il primo degli ostacoli che troverai. Benvenuto nella vita”.

Il mio destino è strettamente connesso a quello dell’allenatore. Io “retrocedo” nella categoria Berretti e loro retrocedono in C2. Lui salta, l’anno dopo, e io salto in prima squadra…”.

Nel frattempo, a Cosenza, Roberto Ranzani, direttore sportivo rossoblù dalla stagione 1984-85, sta cercando giovani di talento per provare la scalata alla Serie B, che in riva al Crati manca da oltre 20 anni. Il primo ad essere arruolato è il portiere Gigi Simoni, ferrarese di Comacchio, seguito dal terzino sinistro Claudio Lombardo da Voghera e da un altro ferrarese, ma di Argenta, il mediano Denis Bergamini.

Nell’estate dell’85 l’Asti viene affidato al tecnico Lucio Mujesan, ex giocatore di Serie A con le maglie di Bologna, Verona e Roma e che da allenatore è passato anche da Cosenza, nella stagione 1982-83 ma è stato esonerato dopo il girone di andata. Ad Asti però Mujesan fa un ottimo lavoro e salva una squadra piena di giovani. Tra essi l’ala destra Sergio Galeazzi e naturalmente Michele Padovano.

Michele finalmente può mettere in mostra tutte le sue qualità: segna 5 reti in 24 presenze e viene segnalato subito ai club di categoria superiore perché non ha solo un gran sinistro ma è veloce e imprevedibile. Ranzani lo recluta subito dopo averlo visto in allenamento, neanche in partita, anche perché a fare la trattativa è una vecchia gloria del Cosenza, che ricopre il ruolo di direttore generale dell’Asti. Si tratta di Giusto Lodi, centrocampista di grandi qualità tecniche. In riva al Crati era arrivato nel 1966, alla soglia dei 30 anni e dopo tre ottimi campionati di Serie B tra Brescia, Potenza e Genova sponda rossoblù. La speranza era che riuscisse a riportare i Lupi in cadetteria ma non c’erano più i presupposti e la società iniziava a perdere colpi. In compenso, però, Giusto Lodi era riuscito a entrare in perfetta sintonia con la città e così rimase addirittura sette anni, fino al 1973, iniziando anche la carriera di allenatore che successivamente lo avrebbe portato anche a Messina, Caserta e Siracusa.

Quando Giusto Lodi capì che Michele Padovano e Sergio Galeazzi erano pronti per un campionato di Serie C di vertice non aveva esitato un attimo a indicare Cosenza come piazza ideale e l’accordo con il diesse Ranzani fu trovato in pochi minuti.

Ora c’era da convincere i ragazzi e Michele Padovano nel suo libro ricorda due aneddoti determinanti. Quando informa la fidanzata Adriana (che poi sarebbe diventata sua moglie) le dice che Cosenza è sì a 1.200 chilometri di distanza ma che la società gli offre un contratto da 3 milioni al mese… Che confrontati alle 600 mila lire di Asti sembrano quasi un sogno. Michele si decide a partire, Adriana lo “benedice” e il ragazzo, forse anche per un po’ di gratitudine, “abbona” due stipendi arretrati a Giusto Lodi. L’avventura a Cosenza può cominciare…

PS: Stiamo leggendo il libro e siamo sicuri che ci saranno ancora altre pagine dedicate a Cosenza. A presto.