Catanzaro, la curia e la Caritas: come vengono gestiti i fondi dell’8 per mille?

«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà» (Giovanni 12, 24-26).

Lo stato dell’arte sulla povertà generata dalla pandemia ce lo rappresenta con puntualità la Gazzetta del Sud, facendo una fotografia in bianco e nero sulla realtà della città capoluogo di regione e sulle incompiute della Chiesa e delle Istituzioni, ne prendiamo uno stralcio di questo contributo pubblicato quest’estate: «Quanto i poveri sono i poveri? Misurare la povertà non è semplice perché le variabili sono tante. La Calabria, in base ai dati Istat, si conferma la regione con più incidenza di povertà tra assoluta e relativa con più di 284 mila famiglie costrette a chiedere pacchi alimentari o rivolgersi alle mense dei poveri. Per tentare di arginare tale situazione, a marzo scorso la Coldiretti, ha inviato in Calabria oltre 30 mila kg di prodotti e, ogni famiglia in stato di bisogno, è stata destinataria di un pacco di oltre 50 chili contenente ogni ben di Dio. A fianco a queste famiglie bisognose c’è un esercito di invisibili che vive ai margini della nostra società. In questo periodo estivo possono permettersi di vivere ovunque. Dormire su di una panchina, in una barca, su di un giaciglio improvvisato. Sono nel girone della povertà assoluta, persone che chiedono elemosine, cibo e che sono obbligati ad arrangiarsi. Ma come hanno vissuto queste persone nella nostra città in estate? Dove avranno trovato ristoro alla loro arsura?

La giornata del povero di celebra ogni anno il 15 novembre e, lo scorso anno l’Arcivescovo Metropolita Monsignor Vincenzo Bertolone ha celebrato la Santa Messa nella chiesa del Monte dei Morti affermando che: “Le parrocchie dovrebbero diventare famiglia delle famiglie in difficoltà”. Ora, la chiesa del Monte, il cui rettore è don Pino Silvestre, il 26 ottobre del 2020 ha inaugurato la “mensa del Vescovo” così chiamata in onore del Beato Giacomo Cusimano, fondatore della congregazione del Boccone dei Poveri a cui apparterrebbe Mons. Bertolone. Una mensa che, a quanto abbiamo saputo, è stata allestita grazie a fondi richiesti dall’Arcivescovo alla Caritas nazionale, attraverso un progetto che ha ricevuto una cospicua somma.

Ma, “La mensa del Vescovo” nel mese di agosto non ha funzionato. “Abbiamo dovuto chiudere perché sono venuti a mancare i volontari”, ha affermato il rettore don Pino Silvestre. Ma possibile che i 40 volontari provenienti da ogni parte della città e che hanno aderito al progetto della Mensa del Vescovo hanno lasciato senza pasti i poveri proprio nel mese più difficile dell’anno? E in sostituzione, fatta eccezione forse della mensa del Conventino, dove erano tutte le altre parrocchie, famiglie delle famiglie in difficoltà? Secondo i dati del Banco Alimentare della Calabria sono 38.000 i nuclei familiari assistiti attraverso 594 strutture caritative, per un totale di quasi 135.000 persone. A Catanzaro il numero dei poveri non è irrisorio, tanto che, nel 2017, il sindaco Sergio Abramo aveva pensato di istituire un fondo “anti povertà” da utilizzare prevalentemente per finalità sociali. Inoltre, rispondendo al richiamo dell’arcivescovo Bertolone, sempre Abramo, aveva pensato di istituire nell’Assessorato alle Politiche Sociali, lo “Sportello dei bisogni” da gestire assieme alla chiesa e avrebbe dovuto rappresentare “un baluardo insostituibile nella lotta alle povertà”. Purtroppo, questo servizio non è stato mai attivato mentre, del tanto decantato fondo anti povertà si sono perse le tracce […]».

La domanda e la conseguente risposta di verità pende sul capo di tanti, non escluso il vescovo Bertolone e la sua curia di affamati di potere e denaro, come una mannaia e ripropone la solita domanda: come vengono gestiti i fondi della Caritas diocesana, soprattutto quelli che si incassano con l’ormai famoso 8 per mille?

Noi la risposta l’abbiamo rintracciata ed è quella che resta secretata nei bilanci nascosti della Caritas diocesana, quel fiume di soldi che vengono esclusivamente indirizzati a favore di padre Piero Puglisi e delle sue attività quelle lecite, quelle illecite e quelle speculative. Come si conviene nello stato autonomo della curia di Bertolone, lo scandalo non supera la galleria del Sansinato, il confine e l’ingresso della città e la notizia non plana sui tavoli della Santa Sede, dove probabilmente avrebbe avuto un riscontro, magari traumatico come la fuga del presule della congregazione del Boccone dei Poveri, tanto da indurre la Caritas Italiana a prendere le dovute contromisure. In questo ragionamento c’è peraltro da valutare se Fondazione Città Solidale sia il braccio operativo della Caritas diocesana? Una funzione che deve essere riconosciuta e consolidata da comprovati documenti, che qualora esistessero sarebbero la confessione di un abuso che supera il valore terzo della stessa Caritas in ordine ai bisogni che non possono essere a trazione unica. Qui, come avevamo già detto, c’è l’ambiguità istituzionale e funzionale dell’attuale presidente diocesano della stessa Caritas di Catanzaro, don Roberto Celia che siede peraltro nel CdA della Fondazione Città Solidale, quello che non è uno scherzo da preti, bensì la comprovata commistione delle funzioni attribuitegli e le complicità con padre Piero Puglisi.

Questo è il quadro dell’eredità lasciata da Bertolone fatta di traffici e di imbrogli coperti dai paramenti sacri. Gli stessi imbrogli insopportabili che portarono l’attuale Arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia – così è ancora conosciuto ed amato nella città di Catanzaro – a recarsi nelle stanze della curia cittadina e prendendo dalle palle – passateci il termine poco istituzionale anche se è l’unico che rende meglio il senso delle cose – il vescovo Vincenzo Bertolone, facendogli capire a muso duro che i fondi della Caritas diocesana dovevano incrociare i bisogni di tanti e di quanti negli anni avevano rappresentato una progettualità ed un attività concreta. Fu solo così che il Centro Calabrese di Solidarietà, messo ai margini da un invidia curiale, riuscì ad ottenere i fondi che aveva chiesto, sviluppando un progetto ed un percorso certamente più visibile di quelli che restano nel segreto dell’azione di padre Piero Puglisi e dei suoi complici della curia cittadina.

Se la Fede oggi non si misura più con il valore della spada, quella che miete vittime sempre innocenti, allora finanza e profitto sono sempre contrari alla dottrina della Chiesa e mons. Angelo Panzetta dovrà rileggere il mondo della massomafia della curia di Catanzaro per capirne i confini, quelli dei perfezionisti della parola senza umanità, e riscoprire il sacramento della riconciliazione con i fedeli e con la città tutta. Conoscerà la curia dalla grande lingua, quella della carità creativa, capirà che Fondazione Betania è stata trasformata nella prostituta della curia e della massomafia, che la teoria della liberazione non passa dai desideri di padre Piero Puglisi, ma soprattutto che la Chiesa non può trasformarsi in un partito che si materializza come un oppressione morale. Dovrà stare attento mons. Panzetta alle polpette avvelenate che molti a Catanzaro stanno già confezionando, a partire da quei prelati che con la complicità, poi tradita da Bertolone hanno messo in pista un fenomeno scismatico benedetto ed infiltrato che risponde al nome del Movimento Apostolico, che come abbiamo sempre sostenuto è una parte del disastro consegnato alla storia della Chiesa cittadina.

Il tema strutturante per il futuro della curia di Catanzaro è la legalità,  la moralità, l’immagine e la verità nel compimento della missione della chiesa, quella che deve essere capace di seguire il Vangelo contro le abitudini consolidate.

Sciogliere i nodi e restituire il profumo alla Chiesa della città c’è bisogno di azioni conseguenti capaci di rimettere in linea alcune forme di bizzarra moralità. La definiamo così perché non siamo bacchettoni, ma ci rendiamo conto che determinate azioni possono ferire ed offendere il sentire del popolo, di tanti fedeli che forse non comprendono alcune forme di ostentazione e di cattivo gusto e che si rivolgono alla nostra redazione per denunciarne i fatti.

Ci viene narrato e documentato della presenza di due persone laiche, che “si aggirano fra le chiese intorno alla curia”, lo riportiamo in modo testuale, in particolare si segnala la loro presenza nella Chiesa del Monte dei Morti, dove si presuppone svolgano un attività lavorativa. Viene ipotizzata l’esistenza di un rapporto di lavoro anomalo, si dice in nero e si identifica la responsabilità di quanto accade all’attuale parroco della Chiesa del Monte dei Morti di Catanzaro, don Pino Silvestre, al quale vengono poste delle domande precise, che riportiamo testualmente: «Don Pino Silvestre è consapevole che i due sono lavoratori in nero? Il Vescovo è a conoscenza di queste cose? Può un soggetto che addirittura si siede all’interno della sagrestia della Chiesa del Monte dei Morti scrivere queste cose?».

Il riferimento è sulla qualità di quanto viene pubblicato su Facebook da parte di uno dei “personaggi” – come vengono definiti – e soprattutto che quanto ci viene raccontato non è assolutamente una falsità o una calunnia, visto che alcuni post oggettivamente stridono con un valore di moralità e di immagine del luogo di lavoro, la Chiesa rispetto alla quale bisogna chiarire un modus operandi che non offenda nessuno.

Chi ci ha scritto è oggettivamente informato dei fatti, tanto che pone anche l’accento su altri aspetti, diciamo di moralità ecclesiastica, che toccano da vicino don Pino Silvestre ed alcune sue frequentazioni, diciamo discutibili, rispetto alle quali capire resta un’esigenza di quanti governano il clero e della curia di Catanzaro nel suo nuovo percorso di bonifica.

Di certo il cielo sulla Chiesa di Catanzaro è nuvoloso perché se l’obbedienza e la povertà sono diventate intenzioni vuote di contenuto e la narrazione fino ad oggi fatta ci consegna i colpevoli, pensare che anche la castità sia ramenga, consolida l’idea diffusa che la curia dell’eredità di Bertolone sia una latrina a cielo aperto.

Siamo altresì convinti che la comunità catanzarese non meriti questa macchia, forse indelebile nella sua storia di fiducia e di fede, come non dovrebbe meritare il “toto vescovo”, lanciato a poche ore dalle dimissioni/licenziamento di Bertolone, così come annunciato dagli improbabili vaticanisti della stampa di regime, le cui credenziali lasciano assolutamente sconvolti. Sarà l’opera di discernimento di Papa Francesco a decidere chi sarà a guidare la curia di Catanzaro-Squillace, magari soffiando la notizia a quanti sono sempre in ansia di prestazione per la velina esclusiva, ma siamo altresì certi che la successione sarà responsabile e adeguata al valore della città di Catanzaro. Sarebbe osceno accettare l’ipotesi fatta circolare, perché la cura sarebbe peggiore del male e consegnerebbe Catanzaro scampata ad un vescovo massone ad un vescovo porcellone! «Bisogna fare attenzione. L’inferno e il paradiso hanno un confine sottilissimo. Ho incontrato diversi demoni, nella mia vita. E puzzavano di incenso» (Gandhi).