Come fu che Meloni diventò… Calenda!

(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – La formazione del presumibile governo Meloni durerà quanto i funerali della Regina Elisabetta e sarà presto chiaro a tutti, e a Giorgia Meloni per prima, che un conto è andare nei mercati rionali e nelle piazze dell’ultradestra spagnola a strillare “io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana” per prendere voti, un conto è costruire un governo con ministri che sappiano qualcosa di economia, lavoro, politica estera, sicurezza, sanità pubblica, istruzione e ricerca.

Chi credeva che votando Meloni avrebbe dato la delega a un governo politico, concreto e popolare, di destra sociale, attento ai bisogni delle classi subalterne (raccontate da Meloni come vessate dall’egemonia culturale della sinistra, figuriamoci) contro un centrosinistra di cariatidi corrose dal potere, dall’eloquio gassoso e parolaio, emotivamente distaccato dal popolo, che dopo aver servito al tavolo dei banchieri passerà i prossimi mesi a far finta di disquisire sulla propria identità, sarà presto deluso. A dispetto di quel che vogliono far credere i media padronali avvelenati contro il Reddito di cittadinanza, infatti, il partito più votato tra le persone in difficoltà economica non è stato il M5S, ma Fratelli d’Italia: Meloni sa che chi l’ha votata le presenterà il conto se agirà in continuità a ciò a cui si opponeva. Infatti ci tiene a puntualizzare: “Non sono mai stata draghiana, semmai collaboro alla transizione con il governo”, come Totò davanti a Aldo Fabrizi maresciallo antifascista della Tributaria: “Sempre stato anti, mi sarà scappato un pro”.

Il dubbio può venire. La barricadera di destra che si era dipinta come lontanissima dal governo dei banchieri ha chiesto aiuto a Draghi (col quale, per il solluchero dei giornali padronali, fa “asse” tutti i giorni su ogni dossier), non disdegnerebbe di infarcire il governo di tecnici e pare abbia chiesto a Fabio Panetta, ex Bankitalia e membro della Bce, di fare il ministro dell’Economia, ricevendone un rifiuto. Intanto, dallo stesso account Twitter su cui giorni fa il suo staff pubblicava il video di uno stupro (ad opera di un africano richiedente asilo), oggi partono elogi alla Von Der Leyen per gli sforzi che sta facendo “per aiutare famiglie e imprese” a far fronte alla crisi energetica (promette di discutere di introdurre un tetto massimo al prezzo del gas per la produzione di energia elettrica, alla buonora).

“Ereditiamo una situazione difficile”, ha detto Meloni: ci fosse stato qualcuno, mentre lei “ingranava la prima con la sua Mini, sguardo duro, guida decisa” (Repubblica), che le togliesse le castagne dal fuoco sulla crisi energetica, il Pnrr, la guerra e l’invio di armi (su cui è allineatissima a Draghi), la pandemia e la possibile carestia, così da lasciarle continuare la campagna elettorale basata sulla costruzione del suo personaggio schietto, ruvido, estraneo e anzi inviso alle cricche di potere!

Sono passati dieci giorni dalle elezioni e già parla come Calenda: “Si parte dalla competenza e se quella migliore dovesse essere trovata al di fuori degli eletti, a partire da FdI, questo non sarà certo un limite”. Ma come, l’unica oppositrice al governo dei Migliori, che non vedeva l’ora di andare a elezioni per “restituire la parola al popolo”, deve rivolgersi ai tecnici perché non ha nessuno di competente dentro al suo partito e tra gli alleati?

La classe dirigente che Meloni porta in dote, oltre a sé stessa (diplomata, ex capo di un ministero simbolico senza portafoglio, un ghiribizzo di Berlusconi) e a suo cognato Lollobrigida, di cui si sa solo che è di Tivoli e che vuole cambiare la Costituzione, non è in effetti di gran prestigio. C’è La Russa, co-fondatore di FdI, in Parlamento dal 1992, per il quale “siamo tutti eredi del Duce”; Rampelli, ex Fronte della Gioventù, deputato dal 2005; Santanché, ex berlusconiana contundente, proprietaria con Briatore del Twiga, lo stabilimento balneare dei vip, e per ciò probabile ministro del Turismo; l’altro co-fondatore Crosetto, che si è dimesso dalla politica e fa il lobbista di armi, solo per caso uno dei più solerti nel perorare in Tv e sui social la causa dell’invio di armi all’Ucraina e all’Arabia Saudita.

C’è poi la riserva di personalità da attingere da Forza Italia: Licia Ronzulli (forse alla Sanità: gli eredi di Rita Levi Montalcini erano indisponibili), Gasparri, Marta Fascina… Purtroppo inutilizzabili i ministri del governo dei Migliori: Brunetta, auto-eliso, e Gelmini e Carfagna, rapite dal carisma di Calenda, perdenti nei collegi uninominali, perciò presto in Parlamento grazie al Rosatellum. Quanto ai leghisti, come si muove, sbaglia: sceglierà di collocare il bollito Salvini o l’ala draghiana? (In psichiatria si chiama “dilemma del prigioniero”).

Perciò, dacché si è accorta di essere finita in qualcosa di spaventosamente più grande di lei e del suo partito cresciuto solo grazie alla cannibalizzazione del cadavere di Salvini, non le resta che dare la colpa a Draghi. L’agnizione dei media padronali è clamorosa: “Meloni attacca Draghi: ‘In ritardo sul Pnrr’” (Repubblica). Naturalmente loro stanno con Draghi, che è “infuriato”, “arrabbiato”, “incredulo” (lo hanno sempre dipinto come compassato, freddo, persino “atermico e neoclassico” – Il Foglio – mentre spesso è iroso, permaloso, vanitoso ai limiti della rissosità).

Metabolizzato il pericolo fascismo, ai media dei padroni interessa in quali mani finiranno i soldi. Ma se i ritardi non sono di Draghi e dei suoi ministri, di chi sono? Forse di Conte, che i soldi li ha presi e che secondo il mainstream ha fatto cadere Draghi?

Renzi, abilissimo a trovare i punti deboli delle persone (anche in ciò ricorda i bulli delle classi elementari), ha twittato: “Cara Giorgia, basta alibi. Non perder tempo: avuto l’incarico fai il Governo in 24h anziché discutere con Salvini del totoministri e vai tu a Bruxelles al Consiglio UE. Hai fatto cadere Draghi, ora governa tu. Se ti riesce” (per lui è stato facile: si è portato al governo mezzo Valdarno, compagni del calcetto, amici/amiche che aveva già piazzato in enti pubblici ai tempi della presidenza della Provincia). Beninteso, si è già reso disponibile per cambiare la Costituzione coi postfascisti: quando si tratta di sfregiare la Carta, si può sempre contare su di lui.

Del resto, la sedicente anti-sistema Meloni non è poi così anti, se lei e l’establishment politico-editoriale-industriale vanno d’accordissimo su quasi tutto: sono tutti per il presidenzialismo; sono tutti contro il Reddito di cittadinanza; sono indifferenti al cambiamento climatico o ecologisti di facciata; se ne infischiano del lavoro precario e sottopagato; sono per le privatizzazioni in tutti gli ambiti sociali, compresa la Sanità; sono tutti per l’aumento delle spese militari e l’appoggio incondizionato alle guerre di Nato-Usa; sulla pandemia, sono tutti lassisti, darwinisti sociali e confindustrialisti; sull’immigrazione, lei, Salvini e Minniti sono tre facce della stessa feroce inettitudine. Meloni si dice conservatrice, ma è neoliberale: bisogna vedere cosa conserverà e con chi, nell’inverno del nostro scontento.