Mafia-stato a Cosenza, i “segreti” (di Pulcinella) del pentito Franco Pino e del suo ex amico carabiniere

di Saverio Di Giorno

Bisogna riannodare i fili. Ancora una volta. Eravamo rimasti ad alcune vicende che avvicinano imprenditoria e Stato, in particolare la clinica Tricarico e il gruppo Novelli, legate dal curatore fallimentare Caldiero (http://www.iacchite.blog/teorema-cosenza-quel-lungo-filo-che-lega-belvedere-a-cariati/).

Da vicende simili, seguendo quella strada fatta di esposti, informative e denunce che avevamo provato (con un pizzico di presunzione) a suggerire alla Procura di Paola, si arriva ai professionisti – in particolare gli avvocati. Da questo il passo è breve verso la massoneria, ma si arriva a qualche uomo in divisa o in toga. Cose già scritte appunto. Cose soprattutto già denunciato… perché (e questo è quello che fa più rabbia) non è vero che i calabresi non denunciano. E non è vero che non ci sono atti. Certo, bisognerebbe rispolverare vecchi fascicoli, vecchie intercettazioni, ma vale la pena se già in quel poco che è possibile recuperare emerge tutto questo.

Riprendendo appunto la strada degli atti (e senza dimenticare il ruolo degli avvocati) c’è un vecchio verbale risalente agli inizi del duemila del collaboratore di giustizia Franco Pino, nel quale, mentre snocciola organigrammi e dinamiche, spartizioni tra gruppi e quant’altro, descrive anche il funzionamento dei rapporti con una parte degli appartenenti allo Stato. E da Paola, quindi, ovviamente si sfocia a Cosenza. Racconta molto, a tal punto, che è possibile immaginarsi o figurarsi delle scene verosimili. Ed è quanto segue: una ricostruzione fittizia negli episodi, ma non nei nomi e nei luoghi ripresi fedelmente.

Immaginiamo di trovarci invitati, una sera, in un locale di Sangineto, il Castello.  Pino dice che qui si incontrano i più alti “ceti sociali” di Cosenza, le “persone perbene”. Quindi, per essere stati invitati dovreste essere un avvocato, un direttore di banca, un politico, ma anche un criminale e perché no, potreste anche essere un uomo dell’arma. Accolto dai padroni di casa o da chi gestisce, e cioè un tale Misasi, insieme all’avvocato Paolini. A che titolo e fino a che punto avveniva questa gestione, Franco Pino non è in grado di dirlo. Di cosa si parla lontano dalla musica e con il liquore in mano? Di affari, di politica o di indagini.

Ad esempio, ci potrebbe essere da fare un po’ di ordine in una discoteca molto nota del Tirreno, “La Vecchia Fattoria” e quindi bisogna mettersi d’accordo con Muto. Così viene riferito. Oppure, potrebbero scoppiare dei casini a Cosenza, a causa di qualcuno che vuole emergere e fa estorsioni non autorizzate. Allora si potrebbe organizzare un depistaggio o una denuncia per mettere nei guai i nuovi galletti. Queste orchestrazioni avvenivano e non potevano avvenire se non con l’aiuto di un tale capitano dei carabinieri, poi tenente, Angelo Giurgola.

Lui ha un ruolo centrale. È grazie a lui che Pino, ad esempio, può girare per la provincia in maniera indisturbata e se qualcuno lo ferma, come è successo a Paola (e di questo esiste anche un documento), allora, basta chiamare o far riferimento a Giurgola e tutto diventa un “sì, va bene” “arrivederci”. Si trovava da queste parti per far campagna elettorale a Pino Tursi Prato, a suo dire. Non è strano immaginarseli a scambiare battute su episodi del genere. Oppure Pino o altri possono rassicurare o mettere in guardia inquirenti o procuratori se si dovessero trovare in pericolo o meno e viceversa per procedimenti o indagini, ad esempio. Ma è proprio quando si interrompono i rapporti tra Pino e Giurgola che iniziano i guai per Franco Pino. Tuttavia, questo richiede un approfondimento perché al di fuori del fatto in sé, mostra come sono i veri rapporti (di forza) tra criminalità e Stato. Prima di volgere la nostra attenzione su questo aspetto, sarà bene dare un’ultima indicazione sui fatti dell’Alto Tirreno.

Franco Pino, infatti, dice che ha fornito una spiegazione per capire l’80% dei fatti del Tirreno e dà un paio di nomi che lui definisce “più importanti dei Muto”, almeno negli anni ’80. Sono Delfino Lucieri e Nicola Musacchio. Indicazioni per far luce anche su omicidi e dinamiche. Dice anche a chi ha riferito tutto ciò e chissà che anche queste carte non siano dormienti in qualche scaffale. Non sarebbe strano, infatti. Quando parla, Pino fa riferimento a documenti, anche riservati, che lui conserva, che riesce a ottenere.

Tutto ciò ha uno scopo preciso e lo scriviamo da tempo: intercettazioni, copie di documenti e relazioni. Tutto sparisce, ma non si perde. Lo conservano tutti: criminali, professionisti, avvocati, magistrati. A tutela, ma anche a mantenimento degli equilibri. Su quei cassetti si fondano e cadono le carriere perché se io ho accesso o in “eredità” questi “segreti” (di Pulcinella) allora ho il potere sulle persone. Ma questa è un’arma a doppio taglio perché significa che esiste una memoria dormiente, sotterranea, in più copie, pronta a emergere ovunque qualora qualcuno non abbia più nulla da perdere o si rompano equilibri. O anche quando un cittadino, che vista la giustizia seriamente compromessa e viste le denunce inutili, raccoglie materiali come unica e ultima difesa. In questi atti titanici vi è l’ultimo argine di resistenza.