Sistema Rende, le contraddizioni del dirigente Valdo Vercillo

Chi conosce la storia del Comune di Rende non può prescindere dal “mitico” ufficio del ragioniere Valdo Vercillo, a lungo primo dirigente, “braccio destro” prima di Cecchino e poi di Sandro Principe. Per essere più precisi e stare al passo con le norme, il “primo dirigente”.

Valdo Vercillo è tuttora la memoria storica di Rende: nel suo ufficio si trovavano accatastati migliaia e migliaia di documenti e migliaia di libri. Un archivio inesauribile e conservato gelosamente. Diciamo pure che a Rende, per decenni, non si sarebbe mossa foglia senza che Valdo non ne fosse a conoscenza. Delibere, determine, concessioni edilizie, consulenze, incarichi di ogni genere: tutto passava comunque da lui.

E anche la DDA, giocoforza, si interessa di Valdo Vercillo. Così come si è interessata dei suoi colleghi (anche loro “pezzotti”) Francesco Raimondi, Gianfranco Sole, Daniela Bernardo e Francesco Minutolo.

L’ASSUNZIONE DI ADOLFO D’AMBROSIO

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Con la determinazione dirigenziale n. 43 del 22 gennaio 2002, firmata proprio dal primo dirigente, ragioniere Valdo Vercillo, il Comune di Rende assume Adolfo D’Ambrosio, a seguito della sua proposta di stabilizzazione di 19 lavoratori LSU sostenuta anche dalla giunta comunale. Si trattava di un’assunzione a tempo indeterminato, quale lavoratore LSU, con contratto part time.

D’Ambrosio aveva già un precedente penale per detenzione abusiva di materiale esplodente e il Comune di Rende, avendo richiesto certificati dal casellario giudiziale, lo sapeva bene. Poi D’Ambrosio veniva sospeso dal servizio con provvedimento del 19 marzo 2004, in quanto era stata emessa nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito del procedimento “Twister”.

“Tuttavia – scrivono i magistrati della DDA – il ragioniere Vercillo, nell’anno 2007, a seguito di accertamenti disposti dal Tribunale di Cosenza tramite la stazione carabinieri di Rende e successivamente comunicando per via epistolare proprio con il sindaco di Rende, all’epoca Umberto Bernaudo, manifestava ufficialmente la disponibilità a riammetterlo in servizio. Il Tribunale di Cosenza, poi, applicava a D’Ambrosio la misura cautelare degli arresti domiciliari e lo condannava a 3 anni e 6 mesi di reclusione…

Durante la fase di sottoposizione agli arresti domiciliari, Adolfo D’Ambrosio, tramite i suoi difensori, richiedeva il 30 gennaio 2007 l’autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa presso il Comune di Rende. Il Tribunale di Cosenza rigettava l’istanza ritenendo che “1) l’eventuale reintegro in servizio richiederebbe in ogni caso un apposito provvedimento amministrativo; 2) la sospensione del servizio risulta disposta per tutta la durata dello stato restrittivo della libertà, condizione sussistente anche nell’ipotesi in cui il soggetto sia gravato dalla misura cautelare degli arresti domiciliari”.

La difesa del D’Ambrosio inoltrava nuova istanza il 23 febbraio del 2007 sostenendo di aver già interloquito con Valdo VERCILLO, il quale, rappresentando che il provvedimento di reintegro sarebbe comunque stato successivo alla ripresa dell’attività lavorativa, avrebbe manifestato la disponibilità alla riassunzione del D’Ambrosio in quanto il regime degli arresti domiciliari, secondo il VERCILLO, “non è di per se fisiologicamente incompatibile per la pubblica amministrazione, all’espletamento di attività lavorativa da parte di chi vi è sottoposto”.

Alla fine, il Tribunale di Cosenza rilasciava l’autorizzazione al D’Ambrosio e il Comune di Rende revocava il provvedimento di sospensione e disponeva la riassunzione in data 23 maggio 2007 sempre con determinazione dirigenziale a firma di Valdo Vercillo.

La DDA sottolinea con forza la gravità di questo provvedimento, del quale con molta probabilità il dirigente Vercillo risponderà in maniera diretta dopo aver ricevuto un inevitabile avviso di garanzia.

“Il Comune di Rende – scrivono i magistrati -, nonostante la condanna di D’Ambrosio alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione in primo grado per fatti di mafia, anziché utilizzare ala possibilità di prorogare lo stato di sospensione fino alla sentenza definitiva nell’ambito del procedimento penale revocava il precedente provvedimento di sospensione, nonostante la permanenza delle motivazioni che lo avevano determinato, ulteriormente rafforzate da una condanna, sia pur in primo grado, emessa nei confronti del D’Ambrosio per reati aggravati dalla finalità mafiosa, dalla permanenza dello stato di restrizione della libertà personale (arresti domiciliari) e dalla sottoposizione alla sorveglianza speciale per anni tre per sospetta appartenenza ad associazione criminale di tipo mafioso”.

LE RAGIONI DI VERCILLO

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Valdo Vercillo è stato chiamato a deporre dalla DDA il 5 dicembre 2014.

“… Conosco da tempo immemorabile Sandro Principe, al quale sono legato da stretti rapporti di lavoro. Con riferimento ai rapporti con l’on. Principe nell’ambito del Comune di Rende, allorquando egli rivestiva il ruolo di sindaco ed io quello di dirigente, era assolutamente normale, oltre che doverosa, una informativa precedente all’adozione di qualsiasi atto da parte dei dirigenti e quindi anche del mio ufficio… OMISSIS… Tale prassi ovviamente veniva seguita da tutti i dirigenti anche nel periodo in cui è stato sindaco l’on. Principe…”.

E poi la parte nella quale tutela fino all’inverosimile, assumendosi addirittura ogni responsabilità, il suo vero “capo” ossia Sandro Principe.

“… La decisione dell’assunzione del D’Ambrosio, unitamente agli altri lavoratori LSU, è provenuta dalla giunta dell’epoca (ovvero a guida Bernaudo, ndr). Ignoravo che il D’Ambrosio appartenesse ad ambienti della criminalità organizzata e il casellario richiesto lo vedeva condannato alla sola ammenda, circostanza questa non impeditiva per l’assunzione…”.

Dopo aver dichiarato che “in modo del tutto autonomo e senza assumere direttive da chicchessia” aveva proceduto alla sospensione cautelare, così motiva la successiva riassunzione. “Ho proceduto alla riassunzione del D’Ambrosio con provvedimento a mia firma del 22 maggio 2007, nonostante fossi pienamente a conoscenza dell’intervenuto arresto per i fatti di mafia. Il provvedimento del Tribunale di Cosenza del 21 maggio 2007 che l’Ufficio mi sottopose in visione non ricordo di averlo visto prima. Tuttavia ricordo che vi fu una richiesta del Tribunale indirizzata all’Ufficio che io dirigevo, con la quale mi si chiedeva se il Comune di Rende avesse avuto intenzione di riassumere il D’Ambrosio poiché si trovava ai domiciliari. Da ciò è scaturito il provvedimento a mia firma del 22 maggio 2007 che dovrebbe però presupporre una determina a mia firma, che mi riservo di rinvenire e di produrre”.

Escludeva ogni tipo di influenza nella riassunzione del soggetto (“… è avvenuta da parte mia, di mia iniziativa e su richiesta del Tribunale ma non ho condiviso questa scelta con nessuno. L’ho adottata in assoluta autonomia…) e si esponeva inevitabilmente ai dubbi dei magistrati su quanto aveva dichiarato.

LE CONTRADDIZIONI DI VALDO VERCILLO 

“Nelle dichiarazioni rese da Vercillo – si legge nell’ordinanza – sono emerse evidenti contraddizioni, in particolare, in riferimento all’affermazione che la decisione di stabilizzare D’Ambrosio era stata adottata dalla giunta, in quanto lo stesso Vercillo aveva tralasciato di riferire la circostanza che lui stesso ne era il proponente.

Inoltre, perché aveva riferito dell’obbligo di informativa imposto da Sandro Principe ai dirigenti comunali, compreso lo stesso Vercillo, con la conseguenza avvalorata da altri elementi, che Principe, all’epoca non a capo dell’amministrazione comunale, era a conoscenza che D’Ambrosio stava per essere “stabilizzato” al Comune di Rende…”. 

Ma la DDA va anche oltre e attraverso un colloquio intercettato in carcere, ha la prova provata che era stato Principe ad avere il potere decisionale per la sua vicenda nonostante .

“Sul punto, poi, è opportuno evidenziare – scrive ancora la DDA – che lo stesso Vercillo aveva evidenziato che la vicenda era conosciuta dal sindaco pro tempore Bernaudo, atteso che, dalle note di acquisizione al protocollo generale dell’ente, entrambe le pratiche fossero state smistate direttamente alla persona del sindaco Bernaudo e, tenuto conto dei rapporti intercorsi tra il predetto e Principe, questi veniva aggiornato dal suo sindaco facente finzione…”.

Insomma, il buon Valdo Vercillo non ne esce per niente bene. Così come il suo “capo”…