Caporalato nella Sibaritide, tutte le cifre dell’illegalità

Due aree della stessa regione interessate dal medesimo fenomeno ma con approcci diversi. L’illegalità nel settore agricolo, legato soprattutto al periodo di raccolta degli agrumi, si mostra con una doppia faccia nel nord e nel sud della Calabria.

A breve inizierà la stagione agrumicola nella Sibaritide e nella Piana di Gioia Tauro, e già in passato sono emersi i pericolosi intrecci tra criminalità organizzata ed economia illegale, con l’evidenza del fenomeno del caporalato.

Ma nei due territori della regione gli approcci sono diversi.

”In provincia di Cosenza –spiega all’Adnkronos il direttore territoriale del lavoro Giuseppe Patania– l’approccio è di elusione giuridica. Ci sono società, cooperative senza terra, nella Sibaritide, che apparentemente sono finalizzate ad altre attività mentre in realtà forniscono illecitamente manodopera alle altre consorziate. L’ispettore del lavoro verifica i presupposti e disconosce la cooperativa e contesta la somministrazione. Ma il fenomeno è per noi solo giuridico”.

“Nella scorsa stagione agrumicola in provincia di Cosenza sono stati eseguiti controlli in due periodi. Nel gennaio di quest’anno sono state ispezionate 14 aziende di cui 9 irregolari (64%), le posizioni lavorative verificate sono state 105, di cui 58 irregolari e 33 totalmente in nero (57%), in totale sono stati adottati 66 provvedimenti amministrativi per sanzioni ammontanti a poco meno di 145mila euro. Il secondo intervento è stato svolto a febbraio con la verifica di 18 aziende di cui 15 irregolari (83,3%), le posizioni lavorative verificate sono state 65 di cui 54 irregolari (72%) e 30 totalmente in nero (55%). I provvedimenti amministrativi sono stati 91 per un importo delle sanzioni pari a 137mila euro”.

Nel reggino invece la realtà è diversa. ”Non c’è questa fictio giuridica -rileva il direttore territoriale del lavoro di Cosenza e Reggio Calabria, Giuseppe Patania – ma un approccio più diretto di lavoratori extracomunitari che vengono dal capo nero, loro connazionale, o da altri mediatori del posto, sfruttati nelle aziende in cui c’è bisogno”. Questa ipotesi implica un delitto punito dal codice penale, inserito dopo la rivolta di Rosarno del 2010, che richiede la sussistenza dell’approfitta mento dello stato di bisogno e dell’organizzazione ai fini della contestazione del reato. ”Il contrasto al caporalato -conclude Patania- non può essere risultato di un’azione di verifica solo con attività ispettiva amministrativa ma richiede un impegno multiforze, con l’intervento della magistratura e delle forze dell’ordine. Credo che la Procura di Palmi sia stata la prima ad avere una sentenza di condanna per quei delitti”.

Adnkronos