Processo Apocalisse, parla la compagna di Marco Perna

Sin dal primo giorno, ovvero l’11 novembre del 2015, ho sempre sostenuto che nell’operazione “Apocalisse”, oltre alla suggestione che generalmente accompagna il cognome Perna a Cosenza, di prove che dimostrano l’esistenza di una associazione mafiosa dedita allo smercio di droga non ce n’erano. E questo l’ho scritto in tempi non sospetti, tant’è che la stessa inchiesta si è da subito infranta contro lo scoglio del TDL che ha rimesso tutti gli imputati in libertà o agli arresti domiciliari, segno evidente di scarsa pericolosità sociale.

E se ho scritto contro questa inchiesta, non è stato certo per difendere i “criminali”, ma per sottolineare l’inconsistenza di alcune pompose operazioni della DDA che parlano di narcos di chissà quale livello, e poi si finisce sempre col trovarsi di fronte a ragazzotti di quartiere che si fanno le canne e vendono una 10 di erba, come hanno detto i giudici del riesame. Spacciare erba e fumo resta un reato (assurdo per me che sono sempre stato per la legalizzazione delle droghe leggere) per carità, ma da qui a parlare di narcotrafficanti alla columbiana, ce ne vuole.

Certo, la presenza di un cognome come quello dei Perna fa pensare che di sicuro il “traffico” c’è, per cui, e per taluni, non ci sarebbe neanche bisogno di indagare, produrre prove e celebrare un processo, basta il cognome per essere colpevole. Ed è la sistematica violazione di questo principio costituzionale – ricordando che di fronte alla Legge siamo tutti uguali, e che in uno stato di diritto le responsabilità penali sono personali – che ci ha “costretti” a scendere in campo. A noi come si chiama l’imputato importa poco – e lo abbiamo dimostrato tante volte, schierandoci sui diritti lesi, anche con chi giornalmente combattiamo – quello che importa è capire dove sta la verità, o quantomeno imboccare la strada che porta ad essa. Tutto il resto non ci interessa. E non abbiamo certo bisogno di specificare che la mafia è una montagna di merda: lo dice la nostra storia e lo dicono i nostri scritti. Nessuno al pari nostro ha mai “sputtanato” la malavita locale, così come abbiamo fatto noi, a viso aperto, e non senza problemi.

In questa storia che coinvolge Marco Perna c’è qualcosa che non va. E lo si capisce a “occhio nudo”. Non c’è bisogno della lente d’ingrandimento. Le anomalie stanno nei fatti, ecco perché ci siamo appassionati a questa vicenda: per la prima volta si presenta l’occasione di squarciare il velo sul “sistema avvocati” a Cosenza. Ovvero: il ruolo degli avvocati difensori nei processi di mafia e dintorni, e i loro rapporti con le procure, ma soprattutto portare alla luce, definitivamente, il sistema degli accordi – sia quelli buoni per il proprio cliente, sia quelli a “danno” del proprio cliente: in entrambi i casi si tratta di una Giustizia parallela a quella “ufficiale” che si pratica nelle aule dei tribunali – sottobanco tra avvocati difensori e pm, all’insaputa del loro assistito.

E gli elementi per smascherare tutto ciò in questa vicenda ci sono tutti, ed è nostro dovere andare fino in fondo, nel pieno rispetto del giusto corso che dovrà fare la Giustizia, e chi lo sa che quello che scriveremo su questa inchiesta, non possa ritornare utile anche a chi, in buona fede, vuole vederci chiaro, ma non ci riesce.

Dopo la notizia dell’arresto di oggi di Marco Perna, a un giorno di distanza dall’udienza nella quale ha deposto il pentito Vincenzo De Rose, abbiamo incontrato la signora Francesca Chiappetta, compagna di Marco Perna, per scambiare quattro chiacchiere su tutta questa storia.

La signora ci riceve a casa sua. È in dolce attesa (mancano un po’ di giorni al lieto evento) e dal viso si capisce che è provata dagli eventi della mattina. Caffè e convenevoli espletati, e siamo subito dentro la notizia. La signora Francesca, seppur provata, è pacata nell’esposizione. Forte, come dirà più volte nella nostra conversazione, della verità.

Il mio primo dubbio è quello che se a parlare è la madre, la compagna dell’imputato, il racconto potrebbe apparire di parte. È chiaro a tutti che una madre, una moglie, non parlerà mai male dei propri familiari.

E così chiedo subito, e a bruciapelo alla signora Francesca: lei definirebbe Marco uno stinco di Santo?

Certo che no. Credo che neanche lei, e nessun altro, possa definirsi tale. Ognuno per il “verso suo” ha i propri vizi e le proprie virtù. E Marco è al pari di tutti. Le sue virtù sono quelli di essere un ottimo padre e un responsabile compagno, e i suoi vizi rientrano nella normalità che tutti viviamo. Non certo quelli che gli “affibbiano” i pentiti. Se ho accettato di parlare con voi è anche perché credo nella Giustizia, che in alcuni casi è amministrata da uomini che leggono il pregiudizio come una sorta di colpevolezza a vita, e se le sentenze hanno un valore, anche quelle che hanno assolto Marco devono averlo. Vedi processo Magnete, il processo a Catania, il processo per le presunte tangenti, sempre assolto. E poi vorrei specificare questa storia dell’arresto di Torino: Marco non è mai stato arrestato a Torino e né è imputato nel processo che vede i due cosentini accusati del possesso di “fumo”. Ma nonostante ciò si continua a dire Marco Perna. Ecco, è questo volerlo a tutti i costi inserire in ogni fatto criminale che mi fa dubitare, e mi fa pensare che a certa Giustizia non interessa la verità, ma solo colpire il “cognome”. Marco, come le ho detto, ha affrontato diversi processi, ma non ci sono mai stati i problemi che vedo in questo.

– Appunto, quali sono questi problemi?

Francesca: le faccio un esempio. La prima cosa che mi è venuta in mente stamattina mentre portavano via Marco è stata questa: ma com’è possibile che il presidente Carpino tre giorni fa ha firmato il permesso a Marco concedendogli di accompagnarmi in ospedale per il parto, e oggi dice che è pericoloso? Cos’è cambiato in questi 3 giorni?

–  Cos’è cambiato secondo lei?

Francesca: a saperlo! Leggendo l’ordinanza e i motivi che hanno portato all’arresto di Marco, chiunque sa leggere questo genere di documenti, può “cogliere” la pretestuosità del provvedimento. La cosa che più mi ha colpito è quando si dice che questo arresto serve anche per “proteggere” la famiglia del pentito Luca Pellicori. Una falsità perché i miei figli e i figli di Luca Pellicori hanno continuato a frequentare la stessa scuola e lo stesso asilo anche dopo la sua collaborazione. Io stessa incontro tutti i giorni i familiari di Pellicori e non c’è mai stato nessun problema. Considero la moglie una bravissima persona e una brava mamma. Come non c’è mai stato nessun problema con i suoi avvocati. Se non quelli che rientrano nella normale discussione tra avvocato e cliente sulla linea difensiva da seguire.

– Ma i fatti dicono che non è così, tant’è che il presidente Carpino in udienza, ieri, ha detto, rivolgendosi agli imputati presenti: durerà ancora tanto questo valzer degli avvocati? Si riferiva al fatto che Marco e altri imputati hanno ritirato le nomine ai propri avvocati, e in maniera “plateale”.

Francesca: infatti stavo dicendo, oltre alle bugie del Pellicori, non ho capito come mai il voler ritirare il proprio avvocato con il quale non si è più d’accordo sulla linea difensiva da portare avanti, viene considerato “pericoloso”. Perché questo è un altro dei motivi dell’arresto di Marco.

Vediamo di capirlo. Anche se una cosa è chiara a leggere l’ordinanza di arresto di questa mattina. Giocano un ruolo chiave gli avvocati, compreso quello del pentito, e questo evidenza una certa commistione tra pm e certi avvocati sulla gestione dei pentiti. Pentiti che spesso diventano tali attraverso pressanti sollecitazioni indotte proprio dai loro difensori per chissà quale accordo con il pm. Ma questo è l’oggetto della nostra inchiesta di cui vi riferiremo nei prossimi giorni, ritornando a quello che dicevamo, secondo lei su cosa non erano d’accordo?

Francesca: quello che posso dirle è quello che ho visto e sentito. E ho visto Marco, notte e giorno, lavorare alla stesura di un suo memoriale da presentare alla corte. Un memoriale in cui Marco ripercorre tutte le fasi di questo processo e lo correda anche di foto, cd e testimonianze. So che Marco più volte ha chiesto al suo avvocato di depositarlo presso la corte ma si è sempre rifiutato di farlo.

– Scusi, lei sta dicendo che Marco ha prodotto una sorta di indagine difensiva e che il suo avvocato si è rifiutato di depositare all’attenzione della corte?

Francesca: si, è così. Lei cosa avrebbe fatto? E poi, ripeto, cosa c’è di male in questo?

 – E come si spiega lei il perché di questo rifiuto che a me pare assurdo?

Francesca: non lo so. Non saprei dirle il perché. Forse non era d’accordo con i contenuti del memoriale

– Facciamo che lo dico io che ho ascoltato e letto un po’ di questo materiale, compreso il “famoso” cd, che tra l’altro è depositato anche presso la cancelleria del tribunale. In questo materiale diversi pentiti fanno i nomi di alcuni avvocati intrallazzati con storie di coca, e di come spesso le “parcelle” venivano pagate con “grammate a vigna”. Un appiglio che apre uno spaccato non solo legato al giro di coca nella Cosenza bene, ma che evidenzia un rapporto insano e consolidato, tra avvocato e cliente, che esula da ogni etica e deontologia professionale, e che da noi si è fatto “sistema”. Come è diventato sistema trattare con i pm.

Francesca: non so dirle se questo è il motivo, ma sta di fatto che la scelta di non presentare il materiale è e rimane strana. Come tante cose dentro questo processo.

Grazie.

GdD